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Il flop delle minilauree

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Risulta, infatti, che il 66 % che ha conseguito una laurea triennale ha poi continuato gli studi e che il 76.8 % degli attuali laureandi di primo livello, interpellati da “Alma Laurea”, intende proseguire gli studi.
Di questi ultimi: il 33,9 % sogna di conseguire una seconda laurea, il 24,2 % di iscriversi a una scuola di specializzazione, l’11,4 % di frequentare un master di perfezionamento, il 2,1 % un dottorato di ricerca. È solo il 23,2 % che non intende proseguire negli studi.
Tra le ragioni del fallimento della formula 2+3, c’è da annoverare il fatto che le lauree brevi erano sorte per immettere sul mercato del lavoro laureati junior, tecnici specializzati, giovani da fare poi crescere e da completarne la formazione nel mondo dell’impresa e delle aziende.
In realtà le aziende non si sono dimostrate interessate granché a questo tipo di nuovo profilo professionale preferendo quanti venivano da percorsi universitari tradizionali.
Altra ragione va riposta nel fatto che il secondo segmento ha potuto essere istituito in quasi tutte le Università italiane molto più tardi rispetto al primo ed è strato oggetto di dibattito acceso per le difficoltà insite alla stessa organizzazione del secondo biennio di specializzazione.
Il gap tra i laureati ‘storici’ e quelli attraverso il nuovo percorso universitario è stato fuori discussione.
Tante volte non è stata, tuttavia, in discussione la qualità della nuova formazione, ma il fatto che è stato diverso il modo globale di affrontare gli studi, poggiato su momenti più analitici e perciò meno contenuti in una più ampia logica di sistema.
La verità è che le lauree brevi sono in crisi in tutto il mondo, America compresa, dove studi recenti hanno evidenziato che i saperi conseguiti con i percorsi abbreviati sono subito superati e la formazione immediatamente obsoleta.
Il nuovo sistema universitario tuttavia ha avuto il merito di fare crescere in Italia oltre misura il numero delle immatricolazioni e di averla fatta avanzare dagli ultimi posti della classifica tra i vari Paesi dell’Europa stilata nel 2002 dall’Ocse.