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Il modo in cui è insegnata la letteratura rassicura i docenti: perché fare Carducci se non si capiscono le subordinate? Lo sfogo

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Si continua a discutere di letteratura italiana: il docente di italiano e latino presso la Scuola militare Teuliè di Milano e professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano Marco Ricucci ha insistito sul modo in cui viene insegnata la letteratura italiana a scuola.

La riflessione

Ecco la sua riflessione, pubblicata su Il Corriere della Sera: “C’è una verità scomoda che nella scuola italiana si continua a ignorare: molti insegnanti non vogliono — o non sanno — insegnare le competenze di base, almeno se andiamo alle superiori. Non vogliono lavorare davvero sulla comprensione del testo, sulla scrittura, sull’argomentazione. Preferiscono rifugiarsi nella rassicurante liturgia della storia della letteratura italiana, scorrendo secoli di autori come se bastasse nominarli per far crescere cultura”.

“E quando qualcuno osa mettere in discussione questo modello si grida allo scandalo, si brandisce Dante come uno scudo, si invoca la ‘tradizione’ come alibi. Ma questa tradizione, oggi, non forma: esclude. Dietro l’apparente difesa dei classici si nasconde spesso la paura — o la pigrizia — di affrontare il lavoro vero dell’insegnante: insegnare a leggere, a scrivere, a pensare. E ciò che è peggio, è che questa inerzia si veste di superiorità culturale. Si finge rigore ciò che è soltanto ripetizione”.

“Gli insegnanti — troppi, non tutti — continuano a replicare il modello ricevuto all’università: lezioni frontali, sequenze cronologiche, spiegazioni monologanti. Come se la scuola fosse un’aula universitaria in miniatura, e non il luogo dove si costruiscono le fondamenta del pensiero. La letteratura diventa così una recita accademica, nobile forse, ma completamente sganciata dalla realtà concreta degli studenti. Nel frattempo, questi studenti arrancano. Non capiscono quello che leggono, non riescono a esprimere un pensiero per iscritto, non sanno sintetizzare, argomentare, strutturare. Ma guai a dirlo. Guai a chiedere che si lavori davvero sulle competenze. Si rischia l’accusa infamante: ‘Volete abbassare il livello’. No, il problema non è abbassare il livello. Il problema è che continuiamo a fingere che il livello sia alto mentre la scuola affonda. Che senso ha spiegare Carducci a studenti che non capiscono il significato di una subordinata? Che senso ha leggere l’Infinito con chi non riesce a riformulare il contenuto di una poesia in due righe proprie? A cosa serve far ‘passare’ la letteratura, se nessuno la comprende davvero?”.

“Basta ipocrisie”

“Una scuola che preferisce fingere l’eccellenza alla fatica dell’inclusione è una scuola che ha perso la sua funzione democratica. Che senso ha parlare di pari opportunità, se poi si misura la ‘cultura’ con strumenti che solo pochi sono messi in condizione di usare? La verità è che il modo in cui insegniamo la letteratura oggi serve più a rassicurare gli insegnanti che a educare gli studenti. E allora basta ipocrisie, mi verrebbe da dire. La scuola non deve ‘fare cultura’ in astratto: deve formare cittadini capaci di leggere, scrivere, pensare. E questo si fa a partire dalle basi. Non con la cronologia delle correnti letterarie, ma con esercizi quotidiani di comprensione, scrittura, riflessione. Non con i soliti nomi imposti per programma, ma con testi scelti per aprire domande, non per chiuderle in un commento già pronto, in un dialogo tra mondo narrato con la parola e mondo vero, attuale. Fortunatamente abbiamo una abbondante produzione di romanzi del Novecento, per esempio. La vera alta ‘cultura’, dunque, non è quella che si vanta dei propri autori, ma quella che forma le menti per leggerli. E finché non si capirà questo, la scuola continuerà a essere un rito stanco, buono solo per chi sa già come funziona. A tutti gli altri, resteranno solo i voti, le incomprensioni, e la sensazione di non essere ‘all’altezza’. Ma l’altezza, quella vera, si misura con la qualità dell’insegnamento. E su questo, oggi, siamo ancora troppo in basso. Basta vedere come vengono organizzati i concorsi a crocette o ‘comprate’ le abilitazioni con tre mesi di corso online”, ha concluso il docente.