
Si parla spesso dell’insegnamento di italiano e letteratura a scuola, con frequenti critiche a certi classici, come I Promessi Sposi o La Divina Commedia. Il docente di latino e italiano Marco Ricucci, su Il Corriere della Sera, ha riflettuto proprio su questo.
Ha senso l’approccio odierno?
“Come insegnare la lingua e la letteratura italiana alla generazione dei millennials è questione tanto importante quanto complessa, perciò va maneggiata con molta cautela. Per prima cosa non bisogna nascondersi i vincoli reali che i docenti si trovano ad affrontare ogni giorno: poche ore settimanali, programmi sovraccarichi, livelli di competenza molto diversi tra gli studenti”, ha esordito.
Ecco il fulcro del suo discorso: “Nella scuola secondaria superiore italiana tutti gli indirizzi affrontano, ancora oggi, lo stesso programma di italiano, con l’obiettivo di ripercorrere la storia della letteratura secondo un’impostazione storicistica. Ma ha davvero senso? Con quattro ore alla settimana – quando va bene – e classi che spesso faticano anche nella comprensione di un testo semplice, inseguire il modello universitario rischia solo di trasformare l’ora di italiano in un’ora di noiosa sopravvivenza, lontana dall’esperienza viva della lettura”.
“Serve un cambio di rotta”
“La verità è che serve un cambio di rotta. Nei licei, dove il profilo culturale degli studenti lo consente, si può mantenere un percorso storico-letterario, purché sintetico ed essenziale, capace di restituire i grandi movimenti della tradizione senza perdersi in dettagli eruditi. I manuali andrebbero snelliti all’essenziale. Nei tecnici e nei professionali, invece, bisogna rivedere completamente l’approccio: lavorare su scrittura argomentativa, comprensione del testo, analisi critica, usando racconti e romanzi del Novecento, oppure passi di autori antichi, parafrasati in un italiano corrente e pienamente accessibile. Ad esempio, in un istituto professionale per l’assistenza sociale, può essere molto più utile proporre pagine tratte da Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi o racconti brevi di Natalia Ginzburg, testi che parlano di realtà quotidiana, marginalità, relazioni umane: temi immediatamente comprensibili e coinvolgenti per ragazzi che si preparano a lavorare a contatto con le persone”.
“Non si tratta di ‘abbassare l’asticella’, ma di rendere possibile un incontro autentico e possibilmente stimolante con la lingua e la letteratura, oggi sempre più percepite come lontane. Se davvero vogliamo che l’italiano non sia la materia dell’inutile memoria scolastica, ma torni a essere veicolo di pensiero e di emozione, è urgente, dunque, con sano pragmatismo, differenziare i percorsi. Non si deve correre il rischio di cadere nella tiritera ‘Manzoni sì, Manzoni no’ al biennio, ma decidere che fare con la lingua e la sua nobile codificazione nella letteratura nel corso dei cinque anni, con pragmatismo e senza accuse infondate di elitarismo. Facciamo un piccolo esempio: ha senso insistere in modo pedissequo sulle figure retoriche in poesia? Rimane prioritario, al contrario, avvicinare i giovani di oggi al mondo creato e sostanziato dalle parole, come antidoto al mondo virtuale creato dalla invadente e totalizzante presenza dei social media. Meno velleitarismi alla Francesco De Sanctis, autore risorgimentale di una patria Storia della letteratura italiana, e più Calvino, che tanto ci ha insegnato nelle Lezioni americane“, ha concluso.
“La scuola fa di tutto per far odiare la lettura”
Qualche tempo fa è esploso il dibattito sullo studio della letteratura a scuola. Tutto è nato su X, dove alcuni utenti hanno deciso di esprimere delle opinioni “fuori dal coro” su dei libri. Uno di essi, in particolare, ha scritto di non amare particolarmente “I Promessi Sposi”, il celebre romanzo storico di Alessandro Manzoni, uno dei pilastri della letteratura italiana.
“Bisognerebbe smettere di studiare così ossessivamente ‘I promessi sposi’, che è sopravvalutato. Nella letteratura globale dell’Ottocento c’è molto di meglio (Dickens, Zola, Ibsen, Hugo, Twain, Coleridge e mille altri) e Manzoni è uno dei tanti e dei meno notevoli”, ha scritto l’utente.
Un altro si trova in disaccordo: “Manzoni è uno dei padri della lingua e, oggettivamente, i Promessi Sposi sono di facile lettura e comprensione. Pensare di poter comprendere davvero Twain e Coleridge (in traduzione, poi) a 14 anni mi sembra un po’ utopistico”.
Ecco come ha risposto il primo utente parlando ancora del poco peso in Europa che a suo dire ha Manzoni: “Ho suggerito di studiare Manzoni con il giusto peso, contando che nel panorama letterario occidentale dell’Ottocento conta relativamente poco. Manzoni è un fenomeno italiano, oggetto di hype locale. Dickens è letto, tradotto, adattato su film e tv in tutto il mondo, Manzoni solo qui. L’Ottocento ha molto di più da offrire. Di norma viene letto per intero e analizzato capitolo per capitolo. Troppo. Anche perché non si legge niente altro di prosa italiana di quel secolo. E c’è un sacco di roba che meriterebbe”.
“Di sicuro la scuola fa di tutto per far odiare la lettura. Dalle schede libro ai questionari, impongono il dovere e azzerano il piacere. Altrove non è così”, ha aggiunto l’utente.