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Il problema della produttività nella scuola

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Produttività significa efficienza del processo produttivo, che a sua volta dipende dalla tecnologia, dalla materia prima, dall’organizzazione del lavoro e dalle motivazioni dei lavoratori, che devono essere focalizzate sugli obiettivi aziendali, oltre che da competenze ed abilità adeguate.

Mentre l’efficienza del processo produttivo dipende essenzialmente dagli investimenti e le competenze dalla formazione a scuola ed in azienda, la motivazione dei lavoratori dipende dalla remunerazione, dalla capacità di premiare la competenza ed i risultati e dalla buona qualità delle relazioni sindacali.

Non è detto che le incentivazioni monetarie, di cui si è fatto largo uso anche in modo informale in passato soprattutto nel settore privato, migliorino la produttività.

Al contrario esse spingono i lavoratori a focalizzarsi sugli aspetti che vengono incentivati lasciando da parte altri compiti che possono anche essere essenziali, ma che non sono retribuiti ad hoc.

Ad es. un insegnante che venga incentivato a produrre risultati di eccellenza nell’apprendimento potrebbe finire col trascurare tanti piccoli talenti che dovrebbero avere il tempo di crescere, ma che non trovano lo spazio ed il tempo per realizzarsi se si vogliono premiare in primis i traguardi più alti.

Inoltre, incentivare certi risultati significa anche generare reti di relazioni informali che nel gruppo dei colleghi emarginano chi ha altre idee ed altre competenze, compromettendo la capacità di far fronte ad esigenze complesse ed articolate.

Quindi l’incentivazione pura e semplice può portare allo spiazzamento del lavoratore sul piano motivazionale.

Si deve fuggire anche dall’idea che la meritocrazia migliori la produttività perché mettere al comando chi ha più meriti può innescare reazioni informali difficilmente controllabili, giacchè la leadership informale, sempre presente nei gruppi di lavoro, può non accettare che chi governa sia sempre chi ha avuto successo tecnicamente.

Allora come premiare il merito? La risposta è meritorietà cioè dare riconoscimenti, anche di status, a chi ha già dato e può dare più valore, sia con l’accelerazione della carriera, che attraverso premi il più possibile socializzati all’interno del gruppo di lavoro.

A volte questo è possibile attraverso aumenti di retribuzione di gruppo, altre volte si possono mettere in atto premi non monetari, come permessi, viaggi premio o riduzioni degli orari di lavoro, compatibilmente con le esigenze dell’organizzazione produttiva. Meglio del premio, sotto il profilo della soluzione di contrasti nel gruppo di lavoro, potrebbe essere il “dono”, cioè una forma di apertura di fiducia verso il personale che si può manifestare attraverso la concessione di maggior libertà nel modo di operare ; ha il vantaggiosi di stimolare l’impegno e la responsabilità, ma genera situazioni che vanno controllate perché lascia spazio a casi di possibile opportunismo .

Inoltre la scelta del modo attraverso cui discriminare il trattamento per merito non può essere disgiunta da considerazioni economiche più di sistema che di bilancio

Infatti la ricaduta che ha il costo per maggior spesa nel caso dell’istruzione va fatta su un periodo molto lungo e in base a considerazioni di carattere macro economico, perché si tratta di esborsi che possono avere ricadute positive anche sul piano del mercato del lavoro, o che al contrario possono tradursi in sprechi controproducenti.

Il valore aggiunto che deve costruire l’istruzione pubblica non arricchisce il capitale interno in termini monetari come ad esempio il servizio dei trasporti o il servizio postale, ma costruisce quel capitale umano che, anche secondo autorevoli studi del FMI, costituisce uno dei prerequisiti per lo sviluppo e la crescita.

Si tratta quindi di arricchire le potenzialità del sistema economico di medio periodo grazie alla crescita qualitativa dell’offerta di lavoro, e ciò può essere fatto solo se si riesce a motivare, prima ancora che a preparare, il personale che eroga il servizio: gli insegnanti.

Per ottenere dei buoni risultati in termini di qualità bisogna agire quindi su due fronti contempora-neamente: 1) quello della spinta al rinnovamento e all’aggiornamento costante del personale in servizio 2) quello dell’inserimento del personale neo assunto.

Nel primo caso l’aspetto motivazionale è decisivo perché un aggiornamento che sviluppi appieno le competenze personali dipende prevalentemente dalla volontà individuale ed imporlo dall’alto significa tornare a rapporti autoritari di stampo gerarchico che sono quelli che da anni cerchiamo di scrollarci di dosso nel settore pubblico, perché si risolvono in conflitti sterili o nel classico “muro di gomma”.

Nel secondo caso è importante un percorso di “formazione in azienda” in cui è bene che il personale sia remunerato, per stimolarne l’impegno, ma è utile anche che non sia “illicenziabile” per evitare di doversi accollare persone che hanno altre attitudini.

Coniugare forme di reclutamento con la formazione in azienda è un dilemma che proprio nella scuola è stato risolto in passato attraverso il reclutamento dei precari dopo anni di supplenze.

Quella dell’inserimento dei supplenti è stata una strada sperimentata con molte contraddizioni e problemi perché è stata lasciata alla completa improvvisazione dei soggetti coinvolti, che però spesso hanno anche avuto modo di formarsi fortemente sul campo prima di avere un contratto a tempo indeterminato.

Molto doloroso sarebbe stato anche attivare percorsi di reclutamento immediato con licenziamento sistematico dopo un anno di prova incerto o deludente.

La storia della scuola italiana è anche una storia di eccellenze, di sperimentazioni e di grandi azioni formative, anche negli anni settanta, quando si scelse, in Italia come nel resto dell’Europa continentale, di dare agli insegnanti tempi di lavoro che permettessero loro di auto aggiornarsi e di riprendere ogni giorno ed ogni anno il lavoro con grande lucidità e professionalità, anche perché remunerare il merito in modo equo è un compio difficile da risolvere in modo oggettivo quando il grado di complessità e di responsabilità nel far crescere i piccoli talenti non è misurabile di volta in volta.

Dunque l’utilizzo di personale precario, prima dell’assunzione definitiva, è una modalità che, se utilizzata in modo intelligente, può dare risposta contemporaneamente a due esigenze:

1) formazione in azione

2) ampliamento dell’offerta di servizi scolastici per gli utenti.

La strada che si percorse con molti errori va ristrutturata e non rottamata,assegnando ai precari incarichi a tempo determinato per attività aggiuntive, non per fare della scuola un luogo in cui lavorano gli intellettuali disoccupati (anche se pure questo non sarebbe negativo), ma per dare risposta ai bisogni di un servizio scolastico a tempo pieno senza obbligare il personale maturo a gravosi impegni che avrebbero una ricaduta negativa sia in termini organizzativi che macro-economici .

Da questo ultimo punto di vista infatti l’aumento di spesa necessario per incrementare l’orario di lavoro, che pure non sarebbe modesta, avrebbe una ricaduta minima sul piano dell’incremento della domanda interna, perché la propensione marginale al consumo di persone sulla soglia dei 60 anni è bassa, mentre è elevatissima quella dei giovani e degli intellettuali senza reddito.

Quindi in definitiva attraverso forme di valutazione dei risultati oneste e sistematiche, che permettano anche di mettere in atto miglioramenti, si possono premiare i risultati per superare le rigidità dell’avanzamento in carriera solo per anzianità.

Si devono ampliare le possibilità di avanzare in carriera grazie al merito e si deve anche dare più spazio nella scuola all’ingresso dei giovani tutte le volte che è utile, senza pressare ulteriormente persone che sostengono da anni l’attività lavorativa intellettuale forse più pesante sotto il profilo psicologico ed affettivo, che genera anche il maggior numero di malattie professionali di carattere psichiatrico.

Vanno evitati i pericoli di attuare una riforma che porti ad un ambiente di lavoro che scoraggia la volontà di formarsi ed aggiornarsi volontariamente e che risolve solo apparentemente il falso problema dell’orario breve degli insegnanti, invece di affrontare il problema vero di una scuola in cui non si impara abbastanza bene anche perché la società non premia chi studia, dove gli studenti continuano a non essere motivati perché il mercato del lavoro non cerca persone acculturate, dove gli insegnanti continuano a non avere autorevolezza perché vengono scherniti e diffamati da un pubblico che non sa essere obiettivo e circuiti da studenti che hanno altri interessi o nessun interesse del tutto.