Home Politica scolastica Io condivido la riforma e il dirigente “leader”

Io condivido la riforma e il dirigente “leader”

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E’ una cosa scontata nel mondo del lavoro: non c’è qualità senza valutazione di merito.

Scontata in tutto il mondo del lavoro, a parte la scuola. Tanto da ingenerare un vero paradosso: la scuola “pubblica”, in realtà, continua ad essere vista come un fatto “privato”. Pensiamo alla “libertà di insegnamento”, vista per lo più in termini di individualismo didattico, non di propulsione alla innovazione e alla ricerca.

Un fatto “privato”, si diceva. Nel senso che in pochi, a parte gli addetti ai lavori, sanno che cosa avvenga dentro le scuole, come avvenga, secondo quali criteri (non quelli dichiarati, ma quelli realmente applicati).

Quanti docenti stessi, ad esempio, conoscono gli aspetti sistemici della propria scuola? Non molti, a parte coloro che sono disposti ad assumere “funzioni di sistema”.

E’ questo paradosso, mai dichiarato ma sempre sottotraccia, il vero muro di gomma che la legge sulla cosiddetta Buona Scuola ha cominciato a scardinare. Ovvie, dunque, le proteste. Tutte forme di conflitto di interesse, se vogliamo dirci come stanno le cose.

Pensiamo, per capirci, ai genitori al momento della scelta della scuola per i propri figli.

Il prossimo ottobre questi genitori, nella “scuola in chiaro” presente nel sito del Ministero della Pubblica Istruzione, avranno la possibilità di leggere anche il “rapporto di autovalutazione” che le scuole sono tenute a pubblicare entro questo mese di luglio. E’ la prima volta che le scuole sono tenute a presentarsi, a dire le cose buone e quelle critiche, cioè ad autovalutarsi, anche se, lo sappiamo, sono le valutazioni esterne le vere valutazioni, con indagini il più possibili obbiettive e comparative sul lavoro di tutti, in particolare dei presidi e dei docenti, intorno agli obiettivi di miglioramento concordati, con ripercussioni anche sugli stipendi e sulla carriera.

Il tutto, cioè questo intreccio tra valutazione interna ed esterna, sapendo che la finalità non è la sanzione, ma il miglioramento effettivo.

Le indagini e le ricerche degli ultimi 20 anni hanno messo in chiaro proprio questo aspetto, perseguito allora dal ministro Berlinguer, con le conseguenze che sappiamo (fu costretto a lasciare il posto da Ministro nel 2000 su diktat della CGIL), ed oggi avviato da Renzi.

Resta da chiarire il ruolo dei sindacati nella nostra “società aperta”, non più difensori ad oltranza del modello egualitarista, cioè corporativo, oggi non più accettabile e accettato. Non è più, cioè, ammissibile che siano i sindacati ad avere l’ultima parola sulla responsabilità di garantire il “bene comune” della scuola. La quale, lo sappiamo, non è di chi ci lavora, ma della comunità civile. Anche questo secondo aspetto, culturalmente centrale, non è ancora ben compreso dai tanti che hanno protestato e polemizzato.

Una “buona scuola” è fatta da bravi insegnanti, presidi, bidelli, personale tutto. Con risultati tanto migliori quanto più bravi sono queste persone che vi lavorano. Mentre i pochi che si dimostrano non adeguati, non preparati, non interessati è giusto e bene che facciano altri lavori. Sono infatti le persone, al di là dei contesti, a fare sempre la differenza.

Lo sanno bene i presidi ed i capi dipartimento, in questi giorni alle prese con la prima bozza delle “cattedre” da costruire, partendo in particolare dalle situazioni critiche dei pochi docenti non adeguati. E chiedendo ai docenti in gamba di sanare queste difficoltà, senza alcun riconoscimento.

Sugli slogan ripetuti in questi mesi, è giusto dire, infine, qualche parola di verità.

La scuola, ad esempio, non è una azienda, si è sempre ripetuto, ma pochi hanno avuto il coraggio di dire che è comunque una “impresa sociale”, la quale richiede ruoli di responsabilità, un’organizzazione flessibile, persone disponibili. Quanti sanno cos’è un “bilancio sociale”?

In seconda battuta, non è vero che questa riforma privatizza la scuola pubblica, perché le scuole statali sono il 95% del totale. Il rischio concreto non è, dunque, la privatizzazione, ma la centralizzazione del sistema d’istruzione, mentre l’autonomia, richiedendo responsabilità, prescrive una struttura sussidiaria. Un aspetto passato inosservato, eppure determinante, in termini di analisi qualitativa di un “servizio pubblico”.

Per quanto riguarda il “preside sceriffo”: non è un autocrate, che in modo solitario decide e determina. Ma uno chiamato a co-ordinare, ad implementare, secondo obiettivi che saranno indicati al momento della nomina triennale. Con verifiche ispettive periodiche. Un leader, dunque, diffusivo.

Infine, vi è la polemica sul riconoscimento, a pochi docenti, del bonus. Ovvio che è poca cosa, rispetto a tutti i meritevoli, ma l’importante è rompere il fronte della distribuzione a pioggia, vera fonte di ingiustizia ed iniquità. Le casse pubbliche saranno un domani in grado di allargare la platea di questi meritevoli?