Home Attualità In Italia la buona ricerca non fa rima con l’insegnamento

In Italia la buona ricerca non fa rima con l’insegnamento

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Buone notizie per la ricerca italiana, nonostante tutto, viste le briciole degli investimenti, rispetto agli altri Paesi avanzati. Il top della matematica italiana sembra che abiti, ad esempio, a Pisa e a Padova…

In poche parole, i risultati ci dicono che noi italiani siamo dei veri maghi: a parità, cioè, di fondi assegnati ai nostri ricercatori, i riscontri sono quasi il doppio dei tedeschi e un terzo in più dei francesi. 

Quale la ragione? 

Pensiamo a quale potrebbe essere la situazione se la spesa pubblica in ricerca e sviluppo non fosse solo la metà della loro (siamo sotto l’1,3 per cento del Pil, contro il 2,26 dei francesi e il 2,84 dei tedeschi).

Provo a fare una proposta di lettura.

Penso qui alla tradizione umanistica della nostra scuola, la quale cerca di integrare, in ogni ordine, educazione alla persona ed istruzione.

Questa tradizione la ritroviamo nella netta distinzione tra nozionismo e sviluppo di una sensibilità culturale. Quella che porta, quasi naturalmente, a domandarsi la ragione ed il fondamento di una notizia, di una conoscenza, di un fatto.

Il primato noi lo riconosciamo, cioè, al domandare ragione, più che al mero possesso delle informazioni, necessarie, ma non sufficienti.

Questo, in particolare nel triennio delle scuole superiori, si traduce, nei bravi docenti, nella persuasione che, ad un certo punto, il metodo non si insegna, ma “passa attraverso” le informazioni, i contenuti, i programmi.

Non si insegna, perchè ogni ragazzo è chiamato a costruirsi un percorso personalizzato di approccio al “mondo”, quindi ad una complessità mai data, sempre aperta e flessibile. Un “passare attraverso”, dunque.

Qui sta la “maestria” del bravo docente. Tutti gli altri supporti sono, appunto, strumenti. Il valore ed il limite, ad esempio, delle tecnologie didattiche.

Educhiamo non semplicemente trasmettendo nozioni, ma stimolando al domandare ragione. Sapendo che per domandare bisogna sapere cosa si domanda, quindi bisogna sapere. Un sapere però aperto, cioè intelligente, curioso, disponibile ad imparare da tutti. Convinti che tutte le discipline sono trasversali, importanti, necessarie.

Che possa essere questa la vera ragione, nonostante tutto e tutti, dei buoni risultati dei nostri giovani in gamba? E del fatto che molti poi vincono bandi liberi in mezzo mondo?

Dispiace, infine, che i migliori di questi giovani non possano scegliere l’insegnamento, perché lo Stato non fa di tutto per avere i migliori docenti, con concorsi seri, con valutatori scelti e valorizzati, anche economicamente, come un vero investimento, come il primo investimento di un Paese che pensa positivo sul suo futuro.

Nonostante anche questo limite, la nostra scuola riesce, comunque, a sfornare, se mi posso permettere la parola, bravi ricercatori. Il bicchiere mezzo pieno.