
Un giorno uno studente chiese ad un linguista: “Qual è il momento preciso in cui abbiamo smesso di parlare latino e cominciato a parlare in italiano?”
L’esperto rispose in un modo che stupì il giovane interlocutore: “La tua domanda non è corretta perché noi non abbiamo mai smesso di parlare in latino. Possiamo dire che il latino non è mai morto e quindi l’italiano non è mai nato, perché l’italiano non è altro che il logico e naturale risultato dell’evoluzione del latino. Anzi, se non fosse mai caduto l’Impero Romano, oggi probabilmente chiameremmo latino questa stessa lingua che parliamo. Né il nostro linguaggio sarebbe granché differente se fino ad oggi, senza alcuna interruzione, fosse esistito l’Impero Romano. Non è vero che il cambiamento fu determinato dai barbari, in quanto nessun popolo neolatino parla una lingua germanica, né il loro vocabolario dipende dal germanico se non per una percentuale minima di parole. Gli invasori barbari erano sempre minoranze che venivano assorbite e che si fondevano col substrato della popolazione preesistente. Non solo, ma i barbari venivano conquistati dalla superiore civiltà romana e dalla religione cattolica, per cui finivano con l’adottare la lingua del popolo migliore. I vocaboli di origine germanica, nella lingua italiana, sono una percentuale davvero trascurabile, certo inferiore alla percentuale di vocaboli latini che riscontriamo nelle lingue germaniche. Quindi è dimostrato che né i barbari e nemmeno la caduta dell’impero fecero sparire il latino e quindi sorgere l’italiano. Soltanto si deve notare che il disgregarsi dell’impero favorì e accelerò un processo d’evoluzione che già era in atto fin dal tempo di Cicerone. A Roma, infatti, anche al tempo della Repubblica, altro era il linguaggio degli scrittori e del foro e altro era il linguaggio comunemente parlato. Ad esempio, la ‘m’ finale non si faceva sentire più e comunemente si parlava con il linguaggio che fu detto ‘rusticus’, perché usato dai contadini, oppure ‘sermo plebeius ac militaris’ perché parlato dalla plebe e dai soldati. Pare che anche Augusto, chiedendo l’acqua per il bagno, dicesse: “Da-mi aqua calda”, anziché “Da mihi aquam calidam”.
Molti stranieri trovano l’italiano una lingua melodiosa e musicale. Il bello è che nemmeno gli italiani ne conoscono il motivo. Ciò dipende dal fatto che, nell’italiano come nel latino, le vocali vengono pronunciate chiaramente. Per cui possiamo concludere che la musicalità dell’italiano deriva dal latino. Al contrario delle lingue anglosassoni o slave dove la consonante divora la vocale. L’italiano, infatti, ha una fonetica regolare e aperta, con vocali chiare e consonanti armoniche. Inoltre, l’alternanza tra vocali e consonanti crea un ritmo fluido, simile alla musica. E la terminazione in vocale di quasi tutte le parole le rende melodiche, a differenza di lingue con finali più dure.
Alcune parole italiane vengono spesso citate come tra le più belle per il loro suono, ritmo e armonia. Pensate alla dolcezza di parole come cartolina, fanciullo, cantare … Ma le parole italiane più usate dagli stranieri per la loro musicalità sono: bellissima, amore, famiglia, dolcezza, meraviglioso, sogno, luccicare, azzurro … Persino un avverbio come ‘allora’, è notato all’estero per il tono che porta nel discorso. Oppure, una semplice interiezione come ‘boh’, per la sua espressiva semplicità.
Il 6 dicembre 2023 l’Unesco ha riconosciuto la lingua italiana come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Tale riconoscimento non riguarda tanto l’italiano in sé, ma un elemento distintivo della nostra cultura: il Canto lirico. Esso costituisce non solo un’espressione artistica, ma anche un veicolo culturale capace di trasmettere valori ed emozioni. Il canto lirico italiano ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione della nostra lingua nel mondo. Infatti, gran parte del repertorio lirico internazionale è cantato in italiano. Inoltre, termini come “adagio”, “crescendo” e “moderato”, hanno ottenuto che l’italiano fosse la lingua universale della musica.
Mi chiedo. Sarà possibile coltivare la consapevolezza della propria identità senza sentirsi superiori agli altri, anzi apprezzando l’identità specifica delle altre culture? Peccato che il fascismo abbia falsato gli ambiti concettuali trasformando il sentimento nazionale in nazionalismo. Sarà per questo che molti italiani, ad un sano sentimento identitario, preferiscono un astratto internazionalismo.
Luciano Verdone