Home Generale La generazione perduta deli under 30

La generazione perduta deli under 30

CONDIVIDI

Il rapporto sui giovani della Commissione Europea  parla chiaro: i giovani oggi sono più istruiti, ma meno occupati delle generazioni precedenti.

A quanto pare la relazione tra la maggiore intelligenza, se non altro in termini di studi, e i livelli occupazionali appare piuttosto complicata. L’82% dei ragazzi europei tra i 20 e i 24 anni ha conseguito il diploma di maturità, un terzo dei 30-34enni ha in tasca una laurea eppure 8,7 milioni di ragazzi (su 90) tra i 15 e i 29 anni non hanno lavoro.

Non solo, 13,7 milioni vengono considerati Neet, persone non solo prive di un posto ma anche scoraggiate a tal punto da non seguire più alcun corso di corso di formazione o training. Un’inattività che si trasforma in rischio di povertà ed esclusione sociale.

Insieme ai risparmi verrebbe erosa anche la già risicata fiducia nelle istituzioni, con una sensazione di smarrimento che riguarda un quarto dei giovani europei e che, rispetto al 2008, è cresciuta in 20 nazioni su 28.

In Italia il rischio di seria difficoltà economica arriva a lambire il 30% dei giovani: una condizione che li accomuna a 27 milioni di coetanei del vecchio continente e che trova le sue cause principali nell’erogazione continua di contratti temporanei o nella permanenza prolungata in condizioni lavorative precarie.

“Seppure più istruiti, più informati e più connessi dei loro genitori, quasi un terzo dei giovani in Europa è a rischio povertà o di esclusione sociale: non possiamo permetterci di lasciarli dietro”, ha affermato Tibor Navracsics, il commissario europeo per l’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù. “Dobbiamo lavorare per fare in modo che ogni giovane trovi il proprio posto nella società e ci aiuti a costruire un’Europa aperta e tollerante”.

Il problema della disoccupazione si sovrappone con quello dell’integrazione. Secondo i dati infatti chi proviene da un Paese straniero ha più possibilità di diventare Neet. Il rischio di essere esclusi dalla popolazione attiva è del 48% per chi è figlio di immigrati rispetto al 28% di chi è invece autoctono.

Quello degli inattivi è un problema che l’Italia conosce da vicino. Nel 2014 la disoccupazione giovanile ha superato il 42%, con la media continentale che si ferma invece alla metà. Se però dal 2008 la media è aumentata di sei punti percentuali, da noi è praticamente raddoppiata. Con l’aggravante dei Neet: categoria di cui il Bel Paese detiene il primato visto che ha un buon 22% di giovani che non studiano né lavorano. Poco meno di dieci punti sopra la media UE (12,4%), senza contare che l’Italia è uno Stato che invecchia più degli altri paesi.

Si può guardare a chi sta peggio, certo, ma la consolazione è magra. In Grecia il 52,4% degli under-25 è senza lavoro, in Spagna il 52,2%. I capolista restano invece Germania, Norvegia e Islanda, dove i livelli si attestano intorno al 10%.

La percentuale di disoccupazione per i laureati è inferiore rispetto a chi ha un diploma di scuola superiore, anche se di poco (10,5% contro il 12,1%). I margini di miglioramento stanno nella costruzione di percorsi di specializzazione più mirati.