
Un po’ come i racconti del West con le carovane in coda e quel poco che ognuno portava con sé, certo dell’incerto, ma carico di un immaginario dal sapore soltanto di futuro.
L’“ultima frontiera”, con una aggravante di responsabilità: se fallisce lei, fallisce la società. E’ così che penso e vedo la Scuola, soprattutto in questo tempo ove la forza della violenza e del sopruso, inteso quale diritto senza dovere e rispetto, la fanno da indicatori sociali e direttive decisionali sul come suo essere e suo farsi.
L’“ultima frontiera”, se ci si sofferma al ruolo cruciale dell’istituzione scolastica nella formazione non solo delle competenze, ma soprattutto della coscienza etica e della visione del domani. Luogo ove si gettano le basi per il senso civico, la responsabilità, la solidarietà. Spazio privilegiato per sviluppare valori autentici e condivisi, accompagnando i giovani al non solo imparare cosa sapere, ma perché saperlo: qual è lo scopo della conoscenza? Come può contribuire al bene comune? Visto poi che in essa, regione della prima istanza di società e socialità, sono espresse le molteplici differenze culturali, religiose e politiche, e così tentare di trovare un margine a questo nostro tempo di crisi ambientale, di conflitti e disuguaglianze. Frontiera che, consapevole del suo ruolo e del suo mandato, non resta lontana dalle prerogative del divenire delle cose, tanto da aggiornare il suo vocabolario etico nelle nuove voci quali sostenibilità, pace, giustizia sociale, tentando un’offerta che riprende lo spazio della convivenza e del riconoscimento dell’altro e degli altri come autentici per vocazione e dignità.
L’“ultima frontiera”, che appare fragile a motivo del continuo bombardamento sulla sua credibilità e autorevolezza, sacrificata alla logica aziendale del profitto e alla volontà di debellare ogni sintomo di ragione e di pensiero razionale e relazionale, pensiero critico e libero che è e costituisce nella sostanza l’Essere, cioè l’UOMO, in obbligo ad una obbedienza cieca che non è espressione religiosa di umiltà e servizio, ma semplicemente asservimento.
“Ultima frontiera” dove, se posso, l’operare faticoso e affaticante degli addetti ai lavori, noi docenti e non soltanto, nel sacrificio quotidiano che ci vuole quasi immolati sull’altare come olocausto, non inteso quale ringraziamento ad un dio, bensì come vittime cui non muore la fedeltà al credo istituzionale che veste la Scuola di rispetto e di dignità nel riconoscimento assoluto autentico e irripetibile del suo mandato che la rende capace di coltivare pensiero critico, empatia, dialogo interculturale.
Partiamo ogni giorno e portiamo ogni giorno pezzi di noi, delle nostre cose, le condividiamo, le offriamo, malgrado la povertà che ci alloggia al penultimo gradino sulla scala sociale, perché dopo troviamo la moltitudine silente che è il sale della umanità: i poveri. Magistra e anche mater, la scuola è l’“ultima frontiera”: se fallisce lei, fallisce la società.
Mario Santoro




