Home Politica scolastica Le supplenze dureranno ancora due anni: ma la riforma non doveva cancellarle?

Le supplenze dureranno ancora due anni: ma la riforma non doveva cancellarle?

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Riforma, la ‘supplentite’ non è vinta oggi, ma tra due anni potremo dimenticarcela. È di quelli che non passano inosservati l’impegno di Davide Farone, sottosegretario all’Istruzione, quando parla, con non poca fierezza, della riforma approvata in seconda analisi dalla Camera. Il ‘renziano’ si lascia scappare una di quelle frasi, da pietra miliare, che possono trasformarsi in un boomerang: “le supplenze brevi e lunghe scompariranno nel giro di due anni”, ha detto Faraone, spiegando che attraverso l’organico cosiddetto ‘potenziato’, da attuare in ogni istituto, presto, appunto appena 24 mesi, “scompariranno le supplenze, i continui cambiamenti di volti in cattedra”. Schierandosi, quindi, con il premier Renzi, quando ha più volte detto che la ‘supplentite’, grazie alla riforma, avrebbe avuto i giorni contati. E le parole di Faraone sono state confermate anche dal ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, che ha indicato sempre in due anni il limite per vedere le supplenze, soprattutto in materie particolari.

Raramente entriamo nel merito delle affermazioni di politici, sindacalisti o di coloro che, nel gergo comune, sono considerati “addetti ai lavori”. Da umili cronisti della materia, però, non comprendiamo proprio come si tecnicamente possibile cancellare le supplenze nella scuola. Ammesso che sia fattibile farlo per quelle annuali (anche se nutriamo forti dubbi sulla sostituzione di un docente di lettere moderne con quello che ‘offre’ l’organico potenziato dell’istituto di turno, ad esempio con il docente di laboratorio di fotografia o di francese), riteniamo davvero difficile che ciò possa accadere con le supplenze brevi. Soprattutto alle superiori, dove sono presenti una miriade di discipline e classi di concorso.

Tanto per capirci, qualora il prof di matematica telefonasse una mattina dicendo che è stato vittima di un infortunio sulla neve o la docente di chimica presenti un certificato di minacce d’aborto, come farà il preside a non sostituirli se nell’istituto o nelle eventuali reti di scuole annesse non vi sono docenti pronti a subentrare abilitati in quelle materie? E nemmeno con il titolo di studio ad hoc, come prevede la stessa riforma?

E visto che ci siamo, vorremmo essere smentiti con una risposta pratica. Spiegando come si potrà far collocare dietro la cattedre, nel volgere di poche ore, il sostituto del prof di turno inaspettatamente assente (per via, ad esempio, della caviglia distorta o perché in stato interessante e complicanze annesse), senza ricorrere al supplente. In ogni caso, questo lo ammette pure Faraone, occorrerà del tempo: ora si dice due anni. Che forse potrebbero diventare anche di più.

 

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Ad esprimere più di qualche dubbio sulle affermazioni dei rappresentanti del Governo, sono anche i sindacati. “Altro che fine del precariato e della ‘supplentite’”, tuona l’Anief. Secondo cui, a rendere paradossale la situazione, è che ci son sono decine e decine di migliaia di precari che non potranno più insegnare solo perché hanno avuto più di tre contratti su posto vacante: dal 2016, infatti, comincerà a scattare il conto alla rovescia per la loro esclusione dalle supplenze. Interpretando al contrario quanto ci dice l’Unione europea sul precariato, ovvero che chi ha svolto almeno 36 mesi di servizio su cattedre libere va immesso in ruolo. Invece per il Governo italiano deve cambiare lavoro.

A settembre, “la realtà – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief – è che ci sono altre 80mila cattedre scoperte. Che andranno necessariamente a supplenza. Perché l’organico funzionale entrerà solo nel 2016. E nel frattempo si saranno scoperte altre decine di migliaia di cattedre per via dei nuovi pensionamenti. Per risolvere una volta per tutte il problema del precariato scolastico italiano, sarebbe bastato invece che il Governo avesse ripristinato posti e finanziamenti per i supplenti tagliati dalla riforma Gelmini in poi. Ristabilendo, di conseguenza, gli organici del 2008. Con quei soldi si sarebbero potuti assumere proprio quegli 80mila docenti abilitati, che ora invece dovranno appellarsi al giudice per vedersi riconoscere – conclude Pacifico – quel diritto scritto nella Costituzione, ribadito lo scorso 26 novembre a Lussemburgo dalla Curia europea”.

Solo qualche giorno fa, a lamentarsi per lo stesso tema, è stato anche Stefano d’Errico, leader dell’Unicobas. Secondo cui i nuovi assunti su organico funzionale “moriranno anche loro di supplentite“.

 

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