
Ciò che è singolare dentro a questo dibattito che si è aperto relativamente all’introduzione dell’ora di affettività, o educazione sessuale, nelle scuole, sta nel fatto che nessuno dei politici, che si arrogano il sacro dono della verità rivelata, abbia le conoscenze adeguate per stabilirne l’efficacia nelle scuole.
Sono tanti infatti, tra i ministri di questo governo, che, magari competenti nel loro settore, quando si parla di scuola, e dunque di introdurre (ma anche di togliere) discipline, sentenziano con sicumera come Sibille dentro gli antri illuminati però dalla sola notorietà televisiva e politica.
Esprimo opinioni, su materie delicate, come se si fosse in un bar, con due o tre avventori disposti ad ascoltarli, mentre le loro dichiarazioni, provenienti da tanto scranno, si diffondono come perniciosa influenza, in omaggio appunto al loro ruolo.
Questa considerazione per sottolineare che tanto accanito discorrere da parte dei politici su questa disciplina delicata ma importante, sottile ma bella e utile, che aiuterebbe gli adolescenti a capire qualcosa in più su ciò che accade nel loro corpo, si può solo giustificare col pregiudizio ideologico, non già con quello della scienza della educazione, che dice altro.
Non troviamo altra spiegazione, se non quella di ritenere tutto ciò che riguarda la sfera sessuale materia che non deve interessare la scuola, ma diverse agenzie educative come la famiglia o altro, magari la strada e magari i siti a luci rosse e magari esplorazioni scorticate fra coetanei.
E infatti, il governo, che su questo argomento pare essere fermo al primo decennio della Controriforma, oltra a rallentare l’iter legislativo della educazione sessuale e con la condizione di poterne usufruire solo col cosiddetto “consenso informato”, cioè l’alunno per avvalersi deve avere il consenso dei genitori, ora ha posto pure l’emendamento col quale l’educazione all’affettività viene vietata nella secondaria di primo grado, cioè nella ex scuola media.
Il sesso insomma è tabù proprio fra quei ragazzi che stanno per lasciare la fanciullezza per entrare nella adolescenza, intorno agli 11 anni, caratterizzata da una serie di cambiamenti fisici molto rapidi e che avrebbero bisogno di essere contemplati con tutte le attenzioni che solo un professionista può elargire.
In pratica, viene impedita là dove c’è più bisogno, nel momento delicatissimo della transizione, del passaggio dall’infanzia alla pubertà.
“E’ compito della famiglia”, dice un ministro; “E’ un modo per introdurre l’educazione gender”, dice un altro, mentre nella Commissione cultura la Lega è inarrestabile nella sua foga ideologica dimenticando il suo fondatore, Umberto Bossi, il cui vocabolario comiziante era per lo più basato sulla virile capacità del suo partito di non “abbassare” mai la guardia intorno “durezza” dei suoi principi.
Da qui pure il “fumus” machista della ideologia leghista, con la supremazia mascolina, simile alle colonne che Roma erigeva quando sottometteva una popolazione nemica.
Mentre i Romani, tuttavia, prima di avventurarsi in azioni belliche prendevano informazioni dettagliate sui nemici, consultando spie e esploratori, non si capisce dove i componenti della Commessione cultura per emendare l’educazione sessuale dalla ex scuola media abbiano attinto informazioni, quali pedagogisti, esperti sessuologi, psicologi hanno consultato per addivenire a questa conclusione.
Dicasi la stessa cosa sul cosiddetto consenso informato, che sfrondato dalla ideologia per cui è stato inserito, fa capire che un padre-padrone, un patriarca intransigente, mai consentirà alla figlia di avvalersi di una disciplina che magari l’aiuta ad aprire gli occhi e a confrontare se stessa col mondo esterno.




