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Meloni al Question Time sul disagio giovanile: “Vorrei istituire un gruppo di lavoro con chi vive in mezzo ai ragazzi”

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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni oggi, 14 maggio, nell’Aula di Montecitorio, svolge interrogazioni a risposta immediata alla Camera dei Deputati. La prima interrogazione riguarda misure contro il disagio giovanile, presentata dal gruppo di Fratelli d’Italia.

Ecco le parole della premier: “E’ un tema che mi sta a cuore. Ricordo alcuni provvedimenti: potenziamento dei servizi sociali territoriali (550 milioni), il supporto psicologico nelle scuole, l’impegno per combattere la droga e le dipendenze (165 milioni), le comunità per adolescenti, il modello Caivano da esportare in tutta Italia, l’iniziativa Sport illumina”.

“Parlo più da madre”

Ecco poi una riflessione: “Parlo più da madre che da premier. I nostri figli crescono in un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto. La generazione dei giovani di oggi è la prima completamente digitale. Io mi sento disarmata perché non sono certa di capire i pericoli che mia figlia corre. Mi spaventa che lo schermo possa far sentire al sicuro. Mi spaventa che i giovani nella stessa stanza parlano attraverso le chat. Forse capiremo troppo tardi quello che sta succedendo. Ho ricevuto la lettera di una madre che mi ha raccontato di sua figlia di 15 anni che si è tolta la vita. La madre non sa dare senso a quello che è accaduto. Mia intenzione istituire gruppo di lavoro, vorrei coinvolgere chi vive in mezzo ai ragazzi e voglio chiedere a tutti i partiti di darmi una mano. Non sarà tempo perso”, ha concluso.

Disagio giovanile, la lettera di un’alunna ai docenti: “Perché insegnate?”

A proposito di disagio giovanile, sta facendo scalpore la lettera pubblicata dal docente e scrittore Enrico Galiano, scritta da una studentessa di un liceo.

Ecco il testo integrale della lettera, che ha attirato moltissimi commenti da parte di docenti: “Cari professori, è quasi un peccato essere arrivati così in basso da trovar necessario scrivere una lettera, ma non vi vedo soluzione. Secondo la cultura giapponese ogni persona dovrebbe possedere un ikigai, cioè uno scopo nella vita, quel qualcosa che ti fa svegliare la mattina. Bene, io l’avevo trovato nello studiare, lo facevo con passione, quasi devozione. Mi svegliavo la mattina consapevole che andare a scuola, imparare, studiare fosse il mio scopo. Poi ho iniziato a comprendere, ogni giorno di più, che non ha alcuna utilità: di utile, non mi viene spiegato nulla in modo appassionante, non vengo mai ricompensata per il duro lavoro. Quando arrivo a casa e devo aprire il libro per studiare mi viene da piangere, sento la mia mente chiudersi, bloccarsi. Quando sono in classe sento solo morte, mi guardo attorno e vedo i miei compagni con gli occhi spenti o addormentati, guardo verso di voi e vedo il nulla, solo una specie di automa che sputa parole su fatti decaduti i cui valori nascosti sono stati sepolti con le loro vittime. Continuate a ripetermi che i voti non contano, che non sono ciò che fanno una persona. Per fortuna è vero, ma giudicate ore e ore di studio, ore in cui sono stata attenta in classe, pensieri e pensieri attivati solo per essere giudicati mediocremente, e chissà poi perché, dal momento che non mi viene mai spiegata una sola volta quali siano i problemi. Quando sono in bus per arrivare a scuola, mi chiedo perché mai stia venendo, perché mai ho anche avuto la cura di mettere i libri giusti nello zaino e di fare i compiti, quando so benissimo che intanto nulla verrà ricompensato”.

“Mi domando perché la mattina mi sono alzata per andare in un luogo dove nessuno mi vede, dove nulla mi interessa, dove si è solo di fretta e in ansia per finire un programma che nessuno sa davvero perché segue, dove mi giudicate per quindici minuti e mettete sul registro un voto immotivato su qualcosa che mi avete spiegato in modo freddo, distante e morto. Pretendete un albero altissimo, meraviglioso, possente, ma non vi curate un minimo di innaffiarlo, di fertilizzarlo, di assisterlo con un bastoncino quando il fusto è troppo fragile. Che non vi venga in mente di dire che sto solo polemizzando perché intanto ogni volta che chiedete come sto, volete sapere solo che sto bene anche se tutto va male. Non volete sapere che sto soffrendo, che vengo a scuola solo per ottenere il diploma, che non mi viene spiegato nulla di nuovo. Non volete sapere che ognuno degli alunni delle vostre classi si sente solo, disperso, in ansia, che alcuni preferirebbero morire. Esigete la sapienza, le capacità, la maturità di persone molto più mature di noi, quando siamo solo diciassettenni che non sanno nulla sul mondo. Sappiamo solo che siamo oppressi, annoiati, devastati, terrorizzati dalle vostre verifiche, dalle vostre interrogazioni, dalle vostre parole. Ho delle domande per tutti voi, siate sinceri almeno con voi stessi, perché insegnate? Quando ci guardate cosa vedete? Credete che essere insegnanti sia un lavoro sociale?”.