Una delle priorità del pontificato di Papa Leone XIV sarà l’educazione dei giovani: il pontefice lo ha fatto capire il 12 maggio, nel corso dell’incontro con i giornalisti, nell’Aula Paolo VI del Vaticano. Queste le parole del Papa: “La comunicazione non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti e dignità che diventino spazi di dialogo e di confronto. E guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria. Penso, in particolare, all’intelligenza artificiale col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità. E questa responsabilità riguarda tutti, in proporzione all’età e ai ruoli sociali”. Al termine dell’incontro, ‘La Tecnica della Scuola’ ha chiesto un commento delle parole del Pontefice ad alcuni giornalisti.
Franco Bechis, direttore di Open
Il Papa ha detto che i giornalisti devono dire una cosa semplice: la verità. E che la menzogna fa più guai delle guerre. E che le guerre si fanno anche dal punto di vista mediatico. Ha di fatto acclamato quello che ormai è diventato uno slogan da quando si è affacciato su piazza San Pietro: disarmata e disarmante ha detto della pace, ma anche dell’informazione. Questa è un po’ la chiave della giornata.
Credo che il Papa affacciandosi il giorno stesso della sua elezione a San Pietro abbia fatto un discorso programmatico più di ogni altro che abbiamo visto in questi anni: infatti, ci ricordiamo delle frasi curiose degli altri papi, tipo ‘sono venuti a prendermi dall’altra parte del mondo’ oppure ‘vengo da un paese lontano’ e così via.
Da questo Papa cosa ci dobbiamo aspettare? Il Papa è atteso perché faccia il capo della Chiesa cattolica: è uno dei grandi temi, molto agostiniano di Papa Leone XIV, quello dell’unità dei cattolici. È un po’quello che ha detto nelle prime uscite: basta divisioni, dobbiamo stare tutti uniti. È un corpo solo quello dei cattolici con la Chiesa: a questo tema dell’unità credo che sarà molto attento, ma l’ha già fatto capire anche durante l’udienza di oggi.
E ha fatto riferimento all’intelligenza artificiale: da parte sua c’è un atteggiamento di necessità di governarla a tutti i livelli. L’ha fatto anche l’altro giorno davanti ai cardinali quando ha spiegato perché ha scelto il nome di Leone XIV, rifacendosi al suo predecessore Leone XIII: ha detto che c’è bisogno di una Rerum Novarum per l’intelligenza artificiale, per interpretare questo strumento che potrà avere un impatto molto forte, anche dannoso, sul mercato del lavoro.
Questo Papa, di spessore e di alta formazione, può essere un esempio per i giovani? Credo di sì. Lui stesso, nella sua vita pastorale è stato alla guida di gruppi di giovani. Ci sono anche foto che abbiamo visto in questi giorni di lui, con i giovani in gita o in visite da varie parti. Ha fatto riferimento anche alla vocazione, cioè quella di diventare sacerdoti in questa chiesa: non deve essere una prospettiva che fa paura. E ha parlato più volte ai giovani: io credo che lo farà in tanti altri momenti, perché la questione educativa è una questione dei nostri tempi.
Stefano Maria Paci, vaticanista dell’Espresso
È stata una grande emozione il primo incontro pubblico di Papa Leone: averlo fatto con la stampa, con i giornalisti, è stato veramente un impatto forte. Ha richiamato i giornalisti ad avere coraggio, ha detto che bisogna avere il coraggio di difendere la verità. C’è stato un grande applauso quando ha ricordato quanti di noi hanno rischiato la vita o sono morti, chi è stato ucciso, sono stati imprigionati. E richiamato il mondo della comunicazione anche ad affrontare le nuove sfide, per esempio quella dell’intelligenza artificiale: lui ha detto che ha confidato ai cardinali che ha preso il suo nome anche perché Leone XIII rispondeva alle sfide del tempo sul lavoro sul industrializzazione che nasceva, lui risponderà alle sfide della nuova comunicazione dell’intelligenza artificiale e i media che cambiano, è la sfida da vincere.
Lui è stato un professore, un professore molto vicino ai giovani. L’educazione credo che sarà uno dei suoi baluardi: potere educare e potere creare una mentalità nelle persone. E lui sta parlando molto di pace e di attenzione agli ultimi. Credo che tutto questo partirà dall’educazione, in scuole di qualsiasi livello e grado. E nelle università, tutti gli ambienti in cui si viene educati.
L’educazione, sono sicuro, anche conoscendo il suo percorso, sarà centrale. In realtà, lo è centrale: perché dall’educazione parte tutto, parte tutto dallo sguardo che ognuno ha sul mondo e lo sguardo si crea e si educa durante gli anni di formazione. Quindi, credo proprio che l’educazione sarà uno dei suoi punti cardine di questo pontificato.
Possiamo dire che rappresenta anche l’emblema della meritocrazia, dei sacrifici fatti sui libri di scuola? Ha due lauree pesanti, conosce svariate lingue, ha fatto tanta gavetta.
Sì, è stato un Papa che ha vissuto tante cose nella sua vita, tanta fatica: è stato professore, è stato insegnante, prima studente. È uno, da quello che abbiamo capito, che ha sempre passato la vita ad approfondire le cose. Anche il diritto canonico. Quindi, lo studio è fondamentale per lui, è la meritocrazia che anche insegnerà: serve fatica, serve impegno per poter crescere nella vita, non per avere soldi, non per fare carriera, ma per avere una formazione globale della propria persona. Quindi, essere in grado di affrontare tutto, come ha fatto lui.
Sorprendentemente, lui che era un missionario di fatto in Perù è stato fatto vescovo, è stato fatto cardinale solo due anni fa, poi è stato fatto Papa.
Credo che la sua vita sia stato un proseguo di scatti, in cui è stata individuata la sua grande qualità, appunto gli studi che ha fatto, il modo con cui ha affrontato la vita.
Quindi sì, credo che proprio questo sia uno dei punti che hanno formato la sua identità e che vorrà trasmettere anche ai giovani.
Il testo del discorso di Papa Leone XIV ai giornalisti
Fratelli e sorelle!
Do il benvenuto a voi, rappresentanti dei media di tutto il mondo. Vi ringrazio per il lavoro che avete fatto e state facendo in questo tempo, che per la Chiesa è essenzialemente un tempo di Grazia.
Nel “Discorso della montagna” Gesù ha proclamato: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Si tratta di una Beatitudine che ci sfida tutte e che vi riguarda da vicino, chiamati a costruire un ponte avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui ultimamente dobbiamo cercarla. La pace comincia da ognuno di noi; dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri; e, in questo senso, il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra.
Permettetemi allora di ribadire oggi la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato e raccontato la verità, e di chiedere la liberazione. La Chiesa riconosce in questi testimoni – penso a coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita – il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere. La sofferenza in questi giornalisti imprigionati interpella la coscienza delle Nazioni e della comunità internazionale, richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di espressione e di stampa.
Grazie, cari amici, per il vostro servizio alla verità. Voi siete stati a Roma in queste settimane per raccontare la Chiesa, la sua varietà e, insieme, la sua unità. Avete accompagnato i riti della Settimana Santa; avete poi raccontato il dolore per la morte di Papa Francesco, avventura per nella luce della Pasqua. Quella stessa fede pasquale ci ha introdotti nello spirito del Conclave, che vi ha visti particolarmente impegnati in giornate faticose: e, anche in questa occasione, siete riusciti a narrare la bellezza dell’amore di Cristo che ci unisce tutti e ci fa essere un unico popolo, guidato dal Buon Pastore.
Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, ci possono essere una comunicazione e un giornalismo fuori dai tempi dalla storia. Come ci ricorda Sant’Agostino, che dice: «Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi» (Discorso 311).
Grazie, dunque, di quanto avete fatto per uscire dagli stereotipi e dai luoghi comuni, attraverso i quali leggiamo spesso la vita cristiana e la stessa vita della Chiesa. Grazie, perché siete riusciti a cogliere l’essenziale di quel che siamo, e a trasmetterlo con ogni mezzo al mondo intero.
Oggi, una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di far uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi, spesso ideologici o faziosi. Perché, il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è fondamentale. La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti e dignità che diventino spazi di dialogo e di confronto. E guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria. Penso, in particolare, all’intelligenza artificiale col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità. E questa responsabilità riguarda tutti, in proporzione all’età e ai ruoli sociali.
Cari amici, impareremo con il tempo a conoscere meglio. Abbiamo vissuto – possiamo dire – insieme – giorni davvero speciali. Li abbiamo vissuti con occhi diversi di comunicazione: la TV, la radio, il web, i social. Vorrei tanto che ognuno di noi potesse dire di essi che ci hanno svelato un pizzico del mistero della nostra umanità, e che ci hanno lasciato un desiderio di amore e di pace. Per questo ripeto a voi l’invito fatto da Papa Francesco nel suo ultimo messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività. Non serve una comunicazione fragorosa, ma piuttosto una comunicazione capace di ascoltare, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiamo a disarmare la Terra. Una comunicazione disarmante e disarmata ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo più fraterno con la nostra dignità umana.
Voi siete in prima linea nel narrare i conflitti e le speranze di pace, le situazioni di ingiustizia e di povertà, e il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore. Per questo vi chiedo di scegliere consapevolmente e coraggio la strada di una comunicazione di pace.
Grazie. Che Dio vi benedica! E arrivederci!