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Per gli alunni ucraini continua l’emergenza; in patria la situazione è drammatica, e in Italia non è facile. Intervista a R. Iosa

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Non piace a tutti la decisione del Governo italiano di erogare un prestito di 200 milioni a tasso zero all’Ucraina per il pagamento degli stipendi dei docenti di quel Paese.
Periodicamente, nei social, ritornano infatti post polemici che parlano di iniziativa quanto meno inopportuna.
Per esprimere un giudizio più consapevole sarebbe però utile sapere qualcosa di più su cosa sta davvero accadendo a Kiev e in tante altre città ucraine.
Ne parliamo con Raffaele Iosa, già dirigente tecnico, esperto di inclusione, che fin dall’inizio della guerra segue le vicende di quel Paese.

Quali notizie le arrivano dall’Ucraina attraverso le testimonianze dirette delle persone con cui lei è in contatto?

Le notizie, soprattutto quelle proveniente dalle aree di sudest ancora occupate militarmente dai russi, sono dure.
Sono stati licenziati molti insegnanti locali, sostituiti da “colleghi” russi; dal 1° settembre i ragazzi iniziano le lezioni con l’alzabandiera bianca blu rossa di Mosca, hanno libri importati dalla Russia con le “cose giuste” da insegnare e si parla-scrive rigorosamente solo in russo. 

Ma i bambini e i ragazzi ucraini come stanno vivendo?

In questo momento ci sono migliaia di orfani sociali degli internati  che sono stati deportati (altro termine non trovo) in Russia in modo forzato. E’ uno dei tanti modi che ha la terra di Putin di sopperire al suo deserto demografico.

Si registrano anche casi di bambini e ragazzi “dispersi”, cioè dei quali non si ha più notizia?

Certo, ci sono bambini portati via dagli orfanotrofi senza rispetto, con fratture esistenziali lancinanti. E non si sa più nulla di centinaia di preadolescenti portati con la forza in Crimea durante l’estate (le vacanze “coatte”) e non più tornati.
Non solo, ma nelle zone di campagna tornano i cosiddetti besprizornye,  ragazzi randagi  che vivono alla macchia.

Ci spieghi meglio

Si tratta di un lascito noto nella storia sovietica che si ripete, nato nei primi anni della rivoluzione d’ottobre, di cui ci resta memoria nel “Poema pedagogico” del pedagogista ucraino Makarenko e della sua colonia Gorky.
Si rifletta su cosa voglia dire essere bambini e ragazzi da quelle parti in questo settembre: se non si muore per le bombe, si sopravvive in un contesto allucinato col rischio del negarsi la memoria e l’identità. Effetti non collaterali ma voluti di una guerra che non è solo distruzione materiale, ma esistenziale.

In tutto questo, cosa stanno facendo gli insegnanti ucraini?

Quasi tutti gli zvitelky (insegnanti) ucraini vivono sotto le bombe e con le case sfasciate, ma vogliono comunque continuare a incontrare i loro alunni in presenza o a distanza, ma le condizioni sono difficilissime.
Hanno skype e la mail, ma spesso manca l’elettricità. Per quanto possono cercano di restare in contatto con gli alunni; molti di loro vorrebbero attivare la DaD anche con chi è fuggito altrove.
Non prendono una grivna in più per la Dad, ma nessuno si sta tirando indietro e stanno facendo la Dad con un piano scuola per scuola molto attivo e programmato.
Ma qui si presenta un problema: il nostro Ministero non vieta agli alunni ucraini iscritti nelle nostre scuole di fare attività a distanza con l’Ucraina, però che la considera banalmente  “aggiuntiva” e così la scuola italiana non è obbligata a fare nulla.

E qui ci fermiamo perché di questo parleremo in una prossima occasione.