Home I lettori ci scrivono Professione docente

Professione docente

CONDIVIDI

Qualcuno tempo fa mi ha detto che le riviste scolastiche pubblicano qualunque cosa gli venga inviato, io non la penso così, difficilmente ho trovato poco interessanti gli articoli pubblicati dalla vostra rivista e anche da altre, come difficilmente ho letto scritti inutili, non selezionati e pubblicati solo perché inviati in redazione, certo io non sarò la penna del momento ma di sicuro scrivo con l’augurio che le mie riflessioni servano a costruire un confronto proficuo e a stimolare un dibattito più approfondito su tematiche, se non di difficile comprensione, spesso fraintese o misconosciute (volutamente?)

Cerchiamo di fare una riflessione sul ruolo della scuola. A cosa serve? Noi insegnanti dovremmo formare l’uomo e il cittadino in raccordo con tutte le altre professionalità ben descritte nelle normative che riguardano questo settore.

Si presume che ciò avvenga durante il nostro orario di lavoro, come si presume che la formazione docenti serva ai docenti stessi per acquisire capacità sempre maggiori che aiutino a migliorare la qualità della didattica e quindi l’apprendimento dei nostri alunni. Perché dunque bisogna spendere soldi per ogni sorta di progetto che, diciamoci la verità, spesso ci viene calato dall’alto senza avere neanche il tempo di fare una riflessione sulla necessità o meno dell’intervento proposto? Ci viene chiesto di deliberare in fretta e furia, tanto ormai il nostro voto è diventato più una formalità burocratica che una scelta professionale.

Se poi qualcuno decide di intervenire per fare qualche riflessione da condividere con i colleghi gli viene chiesto gentilmente (dagli stessi colleghi) di non farlo, altrimenti il collegio si prolunga e si perde solo tempo, tanto non cambia mai niente, quando va bene, nella peggiore delle ipotesi chi interviene per chiedere chiarimenti o fare proposte rischia di essere deriso, schernito, additato come rompiscatole, fanatico o piuttosto reputato un sovversivo, tutto questo avviene mentre si chatta (sì, durante il collegio!) e si condivide l’ultimo modello di qualche abito fashion o la ricetta della torta della zia… niente di male se non fosse diventato scandaloso condividere articoli su riflessioni professionali (roba noiosa o da sovversivi!).

Per quelle come me ormai esistono le definizioni più disparate: comunista, anarchica, arrivista (perché qualche vantaggio dovrà pur ricavarlo altrimenti non si esporrebbe così), idealista (confesso che questa è la mia preferita, anche se oggi ha un’accezione negativa), illusa (forse!), catastrofista, complottista, ecc…

Tutto sommato sfuggire ad una definizione mi appartiene, come appartiene a tutte quelle persone che hanno provato a fare del bene, fare qualcosa in maniera disinteressata e soprattutto provare a farlo adeguatamente, semplicemente perché è il proprio dovere, perché è giusto così.

Non ci sono più le supplenze brevi (ma ormai non si chiama più il supplente neanche per quelle lunghe, diciamolo, tanto la collega disposta ad immolarsi si trova sempre), le ore di sostegno non si riescono più a garantire per intero, non si capisce bene per quale intricato meccanismo… e via dicendo, vogliamo parlare della riduzione del personale ATA? Questo ha scatenato il caos nelle scuole e nessuno dice che oltre a mettere in discussione la qualità didattica mettiamo a rischio la sicurezza degli alunni, la risposta tipica è che tutte le scuole sono messe così, come se questo generasse automaticamente una sorta di assoluzione all’impossibilità di svolgere adeguatamente il proprio lavoro.

Dove non ci sono le condizioni per svolgerlo bisognerebbe sentire la necessità (nella scuola in special modo) di contrastare tale deriva con tutte le proprie forze. Questo deve fare un professionista della Scuola, secondo me. Dunque chiamatemi pure insegnante, io lo sono, questo abito bisogna indossarlo ogni giorno e con il rispetto e la sacralità di chi sale su un altare, quel posto dietro alla cattedra bisogna meritarselo tutto il tempo, anche quando esci fuori dall’aula.

Parliamo degli esperti, cosa direbbero gli architetti, per esempio, se venissero interpellate professionalità esterne per migliorare il loro lavoro? Perché invece chiunque può ambire ad entrare nella scuola? “Prova a scrivere un progetto, una cosa qualunque, tanto con il fis tutto si può pagare.” Intendiamoci non sono contraria alle collaborazioni, anzi, ben vengano, il punto è che non prevedono la partecipazione formale/burocratica dell’insegnante, quanto, piuttosto, il coinvolgimento progettuale e decisionale. Cosa decidiamo noi rispetto alle prove invalsi? Per esempio. Siamo dei meri esecutori, propiniamo dei test avulsi dalla didattica e anche se fossero preparati dai docenti (ultima frontiera) sappiamo benissimo che il problema risiede nel metodo, il lavoro di somministrazione di quiz non può essere accomunato allo svolgimento di un lavoro didattico, mai!

In nessun caso. Attualmente quando qualcuno decide di dissentire e quindi di scioperare viene tranquillamente sostituito, in barba al comportamento antisindacale, non è più di moda, fa tanto comunista… “cosa denunci a fare? Vedrai che una sentenza ad hoc, che scagiona il dirigente di turno, si trova sempre.” Ma veramente siamo ridotti così?

Perché persone che non appartengono al mondo della scuola devono deciderne il destino? Perché non ditemi che queste agenzie esterne hanno una qualche competenza pedagogica, non ditemi che il loro lavoro ha un valore formativo o di qualunque altra utilità. Qualche collega prova a giustificarne la necessità facendo notare che i test d’ingresso all’università sono impostati in questo modo quindi è meglio preparare gli alunni quanto prima, somiglia un po’ alla convinzione che va di moda ultimamente sull’alternanza scuola/lavoro: visto che dovranno affrontare le difficoltà crescenti del mondo lavorativo insegniamo loro la capacità di adattamento, facciamo pulire i gabinetti a un ingegnere, gli sarà sicuramente utile e facciamoli cominciare prima possibile, così imparano sin da subito a non nutrire false speranze.

La mia idea è che tutto il lavoro che avviene prima dei 18 anni, in un paese civile, si chiama sfruttamento minorile, tutto quello che non serve alla formazione dei ragazzi si chiama depauperamento, somministrare certe prove si chiama vessazione. Ogni docente, definendosi tale, dovrebbe combattere accanto agli studenti e alle loro famiglie, difendere il diritto costituzionale all’istruzione che in questo buio momento storico è fortemente compromesso.
Sarà che proprio noi stiamo contribuendo al declino di questa professione? Dal mio punto di vista è nostro preciso dovere opporci agli abusi che compromettono la formazione degli alunni, la didattica e l’adempimento della professione docente.