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Scusi prof, ma Battisti era fascista? Il docente le mette 4 e una nota di demerito

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La studentessa chiede al prof: “ho sentito dire che Lucio Battisti era un fascista”. Il docente le mette 4 e scrive una nota di demerito sul registro.

Eccola: “Superficiale. Interviene fuori luogo, in modo ineducato e provocatorio. Accosta il fascismo ai cantautori degli anni 60/70. Ride”.

Il fatto, riportato il 16 aprile dal Secolo XIX, è accaduto in una scuola media della Valbisagno, uno dei quartieri di Genova. I protagonisti sono la ragazza, che ha 13 anni, e il docente 55enne di musica, diplomato al Conservatorio.

A raccontarlo alla stampa è il padre della giovane: “sono rimasto sconcertato non tanto per il voto, mia figlia ha tutti 9 e 10, quanto per il metodo. Un’adolescente pone una questione, dà un’opinione, e invece di creare dibattito le si dice di stare zitta?”.

La domanda della ragazza, tra l’altro, ha un fondamento. Perché Lucio Battisti, morto nel 1998, si è sempre pubblicamente tenuto lontano dalla politica, da ogni netta presa di posizione. E questo suo silenzio, questo sui non schierarsi – proprio negli anni dell’impegno, della lotta di classe, della rivoluzione sociale e culturale – gli è costato caro.

 

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“In un’epoca dove era d’obbligo schierarsi, il non farlo era considerata comunque una scelta di campo”, ricorda oggi l’Ansa.

“Se non di sinistra, dunque, Battisti doveva essere di destra. E giù a studiare i suoi testi (che scriveva con Mogol), le copertine dei suoi dischi, a cercare conferma alle voci che lo volevano finanziatore di movimenti di estrema destra e riferimenti che indicassero chiaramente il suo orientamento politico. Il mare nero, appunto, in contrapposizione con la giovane “chiara e trasparente””.

Eppure Mogol, il paroliere delle canzoni più famose di Battisti, ha più volte spiegato che non si trattava di camicie nere, ma dell’inquinamento che in quegli anni iniziava a manifestarsi, né della difesa della razza ariana. E “i boschi di braccia tese”? altro non sarebbero, secondo i denigratori, che una metafora del saluto romano, come anche la copertina dell’album “Il mio canto libero” con una selva di braccia alzate al cielo.

 

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