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“Tutti gli studenti devono tornare in classe a settembre è un imperativo categorico”

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“Tutti gli studenti devono tornare in classe a settembre è un imperativo categorico” questo è l’auspicio della Presidente del Senato, condiviso da milioni di famiglie, che trepidano in attesa di quale sarà il futuro prossimo dei figli a scuola.

Molti si  chiedono come si possa realizzare questo obiettivo con premesse per nulla incoraggianti. Lo stesso Parlamento ha dibattuto a fondo questa emergenza con la contrapposizione di  proposte contradditorie e critiche feroci. Purtroppo si sono colte nei vari interventi visioni alternative di scuola: tra coloro che perseguono la volontà di confermare e rafforzare il modello passato e chi prefigura una scuola rinnovata, liberata dai lacci e laccioli, che già prima del covit frenavano ogni cambiamento.

 Al momento sembrano avere la meglio coloro che hanno ottenuto, in coerenza con i vecchi criteri gestionali, più personale, più spazi, più sussidi, accentuando persino la mobilità territoriale e il precariato di giovani studenti universitari.

Nonostante questi provvedimenti, molti sono coloro che denunciano un avvio dell’anno scolastico  a rischio, non solo per l’assenza degli spazi a disposizione per i distanziamenti o per le mascherine o la rilevazione della temperatura, ma anche per le migliaia di docenti non ancora presenti nelle  classi, con la conseguente ridda di supplenti e persone sconosciute agli allievi.  Le difficoltà per l’apertura della scuola sembrano essere di tale complessità che non possono essere superate con le tradizionali soluzioni, confermando un’istituzione irrigidita in procedure burocratiche e corporative complicate e inefficaci.

Da più parti si chiede di guardare ai modelli scolastici dei Paesi più avanzati con calendari e orari più consoni alla nuova società digitale, con autonomia delle scuole più ampia e garantita dai necessari  sostegni economici, più stabilità del personale per relazioni tra docente e allievi più continuative e responsabilizzate nei riguardi dell’apprendimento e della loro soddisfazione.

Si invoca, soprattutto, una scuola più diffusa sul territorio, aperta agli apporti dei vari enti pubblici e privati, capace di valorizzare le competenze diffuse tra le famiglie e le altre realtà formative.

In fondo si chiede una scuola meno tradizionale che fa del diritto all’istruzione un dovere che deve coinvolgere per tutte le articolazioni sociali, più coerente con i valori della Repubblica richiamati da una recente sentenza della Corte Costituzionale che invita a: “valorizzare l’originaria socialità dell’uomo superando l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche …  in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, che risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del  nostro Paese”.

In questo senso si fa appello alla proposta ministeriale del “Patti di comunità” che coinvolgano le istituzioni territoriali definendo progetti e collaborazioni. Interlocutori prioritari del Patto non possono non essere le scuole paritarie in modo da integrare davvero il Sistema nazionale di istruzione e formazione, integrazione enunciata da decenni dalla legislazione vigente, ma rimasta inattuata, per un pervicace pregiudizio ideologico. Altri Paesi democratici avanzati ci sono di esempio nel realizzare riforme scolastiche costose e complesse facendo leva sulla libertà di scelta delle famiglie, messe in grado di accedere liberamente sia alle scuole statali che a quelle paritarie,  alle medesime condizioni economiche. Come dire senza rette aggiuntive che sono una vera e propria discriminazioni nei riguardi delle famiglie meno abbienti, a cui è precluso l’esercizio della libertà educativa,  che è uno dei diritti inviolabili più importanti. 

Se davvero si vuole che “tutti gli allievi tonino in classe” ed è matematico che, viste le circostanze, almeno il 15% rimarranno fuori, per quale motivo non facilitare anche a costoro la possibilità di disporre di un servizio scolastico, accreditato dalle autorità competenti?

Soluzione già adottata, ad esempio, dal Comune di Milano che: “alle famiglie in lista d’attesa assegnerà una quota capitaria affinché possano “scegliere di frequentare senza rette aggiuntive” la scuola dell’Infanzia paritaria prescelta”. Il  meccanismo è lineare: una volta acquisito il fabbisogno degli allievi esclusi, si procede con la verifica della disponibilità delle scuole paritarie e l’adesione delle famiglie al progetto educativo, individuando le strategie localmente più adeguate, per permettere a tutti di tornare in classe. Le convenzioni tra le scuole, che definiscano la quota capitaria necessaria, l’utilizzo dei locali e le collaborazioni progettuali , permettono soluzioni appropriate ed anche  con conseguenti evidenti risparmi.

In Parlamento lo scorso 16 luglio sono state approvate mozioni che superano i vecchi ostacoli di ordine politico riconoscendo che “Il sistema nazionale di istruzione,è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali… ai fini del rispetto dei principi di legalità e buon andamento, appare del tutto opportuno estendere anche alle scuole paritarie le norme in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni..”(Mozione n. 1-00256 presentata da 5 STELLE). Inoltre la mozione 1-00275  impegna il Governo “a dare piena attuazione alla libertà di scelta educativa attraverso un sostegno delle scuole paritarie nei limiti delle disposizioni costituzionali e delle normative vigenti”.

La trasparenza richiesta dal Movimento 5 Stelle sarebbe facilitata se si applicasse, nei finanziamenti destinati alle scuole paritarie, il costo standard per allievo  (da modulare per corso, dai 3.500 euro per la scuola dell’infanzia ai 5.800 euro per la scuola secondaria di 2° grado, con una media di 5.500 euro come definito dal Ministero dell’Istruzione). Infatti   il costo standard diventerebbe il punto di riferimento per  Stato, Regioni e Comuni nel definire i rispettivi contributi, che sommandosi dovrebbero tendere ad abbattere gradualmente le rette a carico delle famiglie, iniziando dalle meno abbienti con ISEE annuo di 25.000 euro.

L’emergenza post – covit può diventare un’opportunità se, abbandonando meri interessi di parte e visioni culturali superate, si valorizzassero tutte le opportunità indicate dalle normative vigenti e offerte dalla: “autonoma iniziativa dei cittadini» … in quanto rappresentativi della “società solidale” spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di  risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno” (Sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale).

Giuseppe  Richiedei