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Università: revisione classi di laurea e timori di “tagli”

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Lo scorso 12 settembre, il ministro dell’Università e della Ricerca, Fabio Mussi, ha trasmesso i nuovi schemi di decreto sulle classi di laurea triennale e “magistrale” al Consiglio universitario nazionale (Cun) e al Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu), per i previsti pareri.
Il testo dei provvedimenti (uno per i corsi triennali, l’altro per quelli di laurea magistrale, come adesso è definito il biennio della laurea specialistica) è stato anche inoltrato alle competenti Commissioni parlamentari e alla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), che già con una propria mozione si era espressa sul termine di adeguamento dei regolamenti didattici, da parte degli Atenei, a quanto disposto nel D.M. n. 270 del 22 ottobre 2004 recante modifiche al decreto n. 509/99 del Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, concernente l’autonomia didattica degli Atenei.
Rispetto al precedente decreto del 16 marzo 2006, a firma della Moratti, riguardante la rideterminazione delle classi di laurea (anche in base a quanto maturato nell’ambito dei “tavoli tecnici” appositamente costituiti), che la Corte dei Conti ha rinviato (con nota del 5 maggio scorso) al Ministero per le opportune correzioni e che l’attuale Ministro ha successivamente ritirato, il nuovo testo presenta modifiche nella disciplina dei corsi. Tra le novità, un massimo di 20 esami per le lauree triennali e di 12 per le lauree magistrali (ad eccezione di quelli regolati da normative dell’Unione Europea), con il conseguente invito, per le Università, ad aggregare più moduli, così da consentire una minore frammentazione didattica e una diminuzione delle verifiche di profitto, favorendo prove integrate per più insegnamenti.
Inoltre, per gli studenti che nell’ambito di una stessa classe di laurea o di laurea magistrale si trasferiscano da un Ateneo ad un’altro o anche soltanto cambino corso, verrà garantito il riconoscimento di almeno la metà dei crediti, relativi al medesimo settore scientifico-disciplinare, accumulati fino a quel momento (tale garanzia non si applica automaticamente nel caso di studenti provenienti da Università telematiche).
Viene anche specificato che i crediti formativi riconducibili alle conoscenze e alle abilità professionali certificate individualmente o maturate in attività formative di livello post-secondario, alla cui progettazione e realizzazione abbia concorso l’Università, non possono superare il limite di 60 per la laurea triennale e di 40 per quella magistrale. Peraltro, le attività già riconosciute come crediti formativi nell’ambito di corsi di laurea non possono far scaturire l’attribuzione di nuovi crediti nei corsi di laurea magistrale.
Per agevolare le Università a pianificare l’offerta formativa tenendo conto delle nuove classi di laurea, è prevista una gradualità per l’attuazione delle modifiche ai vigenti regolamenti didattici di Ateneo (dall’anno accademico 2007/2008 ed entro l’a.a. 2009/2010). Naturalmente, le Università assicurano la conclusione dei corsi di studio e il rilascio dei relativi titoli, secondo gli ordinamenti didattici previgenti, agli studenti già iscritti ai corsi alla data di entrata in vigore dei nuovi ordinamenti didattici, sempre che non scelgano di proseguire gli studi iscrivendosi ai corsi afferenti alle classi di laurea o di laurea magistrale disciplinati dai nuovi decreti.
Allo schema di decreto relativo alle lauree triennali e allo schema riguardante le lauree magistrali sono allegati gli ordinamenti delle rispettive classi, con gli obiettivi formativi qualificanti e le attività ritenute indispensabili, di base e caratterizzanti, suddivise per ambiti disciplinari e settori scientifici disciplinari.
 
Intanto, il mondo universitario deve fare i conti con problemi scottanti: i timori di nuovi tagli nella legge Finanziaria per il 2007 ai fondi assegnati agli Atenei, il rinnovo contrattuale (il contratto è scaduto da otto mesi), il diffuso precariato.
Su questi temi, le segreterie nazionali dei sindacati Flc Cgil, Cisl Università e Uil Pa-Ur, riunite lo scorso 15 settembre per fare il punto della situazione, hanno formalmente richiesto l’apertura di un tavolo di confronto per definire il quadro strategico delle priorità e gli interventi necessari per lo sviluppo del sistema universitario e per una progressiva ma rapida stabilizzazione del personale precario, rivendicando maggiori e significativi investimenti anche per l’intero sistema italiano della ricerca.
Al Governo i sindacati confederali chiedono “di porre fine ad una stagione di costante riduzione delle risorse, che ha caratterizzato in particolare la legislazione precedente e che ha messo l’Università in grande difficoltà, per avviare invece da subito una politica di investimenti”.
E mentre sindacati ed associazioni professionali di categoria, quali ad esempio l’Adu e l’Andu, proclamano lo stato di agitazione e non escludono iniziative di mobilitazione in mancanza di risposte positive alle loro proposte, il ministro Mussi – nel suo intervento, la scorsa settimana, alla quarta Giornata della ricerca organizzata da Confindustria, dove ha anche sottolineato che è necessario cambiare il sistema di governance degli Atenei – rassicura sul fatto che si batterà per l’aumento delle risorse, puntando a 700-900 milioni di euro nella prossima Finanziaria e ad un incremento sostanzioso entro la fine della legislatura.
Per il momento, Fabio Mussi incassa un buon risultato per il mondo della ricerca, che trova attenzione nei due provvedimenti approvati il 22 settembre dal Consiglio dei Ministri, in materia di innovazione industriale e di modernizzazione dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche nonché di riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese.
Il Ministro dell’Università e della Ricerca diventa membro permanente del Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica), partecipando così alle decisioni sullo sviluppo economico del Paese. E’ prevista, inoltre, la razionalizzazione dei fondi per la ricerca esistenti presso il Miur in un unico fondo denominato First (Fondo per gli investimenti ricerca scientifica e tecnologica).

Nell’altro provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 22 settembre viene introdotta la delega per il riordino complessivo degli Enti di ricerca, che, tra l’altro, potranno assumere autonomamente nei limiti dell’80% del budget, svincolandosi dalle procedure pubbliche.