
Ci sono argomenti di dibattito che ciclicamente appaiono, esattamente come l’alternarsi delle stagioni. E dunque, in prossimità delle vacanze, il problema dei compiti a casa; poi, con l’affacciarsi degli esami di stato, si discute intorno alla loro validità e così via. Di questi giorni, con l’inizio dell’estate, si disquisisce sulla durata delle vacanze estive: troppo lunghe, dicono in tanti. Che potrebbe essere vero se non ci fossero le aziende alberghiere e di turismo le quali dicono esattamente l’opposto: fate iniziare la scuola a ottobre, come accadeva alcuni decenni addietro.
C’è sempre, come è noto, una tesi a favore e una contraria, come nella più profonda dialettica hegeliana.
L’ultimo ritaglio, su di un importante giornale nazione, riguarda appunto un articolo secondo il quale le 13 settimane di vacanze accordate dalle scuole italiane ai suoi alunni sarebbero eccessive e nascerebbero dalla tradizione contadina dell’Italia, per cui i ragazzi sarebbero serviti per aiutare nel lavoro dei campi i loro genitori: trebbiare, raccogliere la frutta, vendemmiare ecc.
Quanto questa asserzione possa avere validità storica, non sappiamo, siamo però certi che ogni qualvolta si è parlato di accorciare le vacanze estive, gli albergatori hanno sollevato scudi, comprese le agenzie di viaggio per le quali, considerato il clima della nostra penisola, da giugno a tutto settembre, si può regolarmente villeggiare, andare a mare o in montagna, viaggiare ecc. Ma non solo, da altri ambiti logistici, si dice pure che le nostre scuole non sarebbero attrezzate a sostenere la calura estiva che rende le aule impraticabili. Tranne a dotarle di mezzi idonei per rinfrescarle, come in inverno riscaldarle coi termosifoni.
Dunque, già due moschettieri contro la proposta di accorciare le 13 settimane di ferie: albergatori e clima.
Poi ci sono i prof, anch’essi divisi, tra chi è favorevole a spalmarle nel corso dell’anno e chi no, ferme restando, in ogni caso, le 200 giornate complessive di lezione. E in qualche modo per gli stessi motivi sopra accennati, ma con l’aggiunta che l’eccessiva durata di chiusura della scuola, provocherebbe una sorta di ineluttabile cancellazione, parziale o totale, delle nozioni acquisite nel corso dei 9 mesi di scuola. Che può essere accettabile, ma con pregiudizio ideologico, considerato che così si certifica come l’insegnamento sia, non già cibo proteico di crescita costante per i giovani, ma una sorta di biada, buona per il momento e comunque troppo volatile.
Forse a sostegno della proposta di accorciare le vacanze, appare invece valido quanto la sociologia suggerisce, riferendosi alle difficoltà delle famiglie meno abbienti o nelle quali entrambi i genitori lavorano. Per costoro, che dispongono solo di tre/quattro settimane di ferie nell’anno, e concentrate ad agosto, il problema di dove lasciare i figli si pone, venendo a mancare la scuola.
Che fare allora? Accorciarle sarebbe, in effetti, il caso, per allungarle, come accade in Germania: a Natele e in primavera, dunque a Pasqua, mentre tenere aperte le scuole anche durante le ferie estive non è neppure sbagliato. Come gli oratori di salesiana memoria, ma per attività ludiche e ricreative. Costerebbe allo Stato, ma sarebbe un buon investimento.