
Lunedì 20, presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Roma Tre, è in programma la terza edizione di “Learning by Dewing”, importante evento di autoformazione interamente dedicato al tema della valutazione in itinere descrittiva senza voti.
La data non è affatto casuale perché si richiama alla nascita di John Dewey (1859), il pedagogista statunitense i cui studi hanno dato un impulso decisivo a tutta la ricerca pedagogica del secondo scorso.
Dell’evento e dei problemi legati alla valutazione parliamo con il professore Giulio Iraci, docente di filosofia presso il liceo Aristofane di Roma.
Di cosa si parlerà nel corso di questa giornata?
Come nelle precedenti edizioni, un centinaio di docenti del primo e del secondo ciclo di istruzione si confronteranno su come introdurre la valutazione in itinere senza voti nelle proprie scuole, su come adattarla alla propria didattica, su vantaggi e limiti delle rubriche e su come trasformare la valutazione dell’apprendimento in valutazione come apprendimento.
Quest’anno, inoltre, verrà annunciata la nascita del “Coordinamento per la Valutazione Educativa (CVE)”, un’associazione che offrirà una cornice pubblica e organizzativa ai diversi gruppi territoriali sorti spontaneamente negli ultimi anni e a quelli che vorranno costituirsi in futuro. E chi lo vorrà potrà iscriversi al Coordinamento.
Ma non è un controsenso parlare di valutazione senza voti?
Assolutamente no, si tratta di una pratica in linea anche con le recenti modifiche normative: valutare in itinere senza voti è possibile ed è pienamente coerente con la libertà di insegnamento.
Fare chiarezza sulla normativa e sugli ambiti specifici della valutazione aiuta chi insegna a svolgere in modo più coerente la propria professione e garantisce a chi apprende diritti che deve imparare a conoscere ed esercitare.
La valutazione, se intesa come strategia didattica, diventa parte integrante del processo educativo: un mezzo per far crescere nelle studentesse e negli studenti la consapevolezza dei propri apprendimenti.
In tal senso la valutazione in itinere senza voti è valutazione educativa e riafferma un principio fondamentale della scuola democratica.
Siamo sicuri che si possa valutare senza usare i voti? Cosa dicono le norme?
Di recente anche l’ispettore Max Bruschi, noto esperto di legislazione scolastica, ha chiarito le modifiche introdotte dal DPR 135/2025 al “Regolamento recante valutazione del secondo ciclo di istruzione”.
Tra le novità, ce n’è una particolarmente rilevante per chi insegna (e per chi apprende).
Il nuovo decreto, all’art. 4 comma 1-bis, stabilisce infatti che la «valutazione periodica e finale […] è espressa in decimi», con ciò ribadendo la libertà di valutazione in itinere per la scuola superiore già riconosciuta per la primaria e per la secondaria di primo grado dalla legge 150/2024.
Sul punto Bruschi è categorico: «La valutazione in itinere e l’adozione o non adozione del voto per le singole prove resta affare del docente. Nessuno può imporre l’adozione del voto nelle prove in itinere».
Valutare in itinere senza voti dunque non è un’eresia pedagogica, il capriccio di qualche docente: è un diritto professionale.
Proviamo a chiarire meglio la questione del rapporto fra valutazione e voto?
In estrema sintesi possiamo dire che il voto è una comunicazione sintetica, che traduce in numeri o parole l’esito di un percorso di apprendimento. Il termine valutazione invece ha un significato più ampio e può riferirsi sia al voto sia al processo per giungere all’esito di quel percorso.
Come insegna la docimologia, il voto è soltanto uno dei modi con cui si valuta, non la valutazione stessa.
Questa distinzione non è un esercizio teorico: non comprenderla – e non applicarla – può generare effetti distorti, tanto sulla didattica quanto sulla motivazione di studentesse e studenti.
Molto spesso le famiglie (ma anche gli stessi studenti) dicono: “Sì, ma in concreto, come facciamo a sapere ‘a che punto’ siamo?”
Bisogna appunto distinguere i diversi piani.
L’espressione valutazione in itinere (dal latino in itinere, “durante il cammino”) indica ciò che emerge, di volta in volta, nel corso dell’apprendimento. Serve a dare indicazioni, a correggere la rotta, offre a chi apprende e a chi insegna strumenti per capire dove si è e dove si può andare. È la valutazione che accompagna durante il viaggio: lungo l’itinerario, appunto.
La valutazione periodica invece, e ancor più quella finale, si riferiscono all’esito del viaggio o quanto meno a una tappa significativa. La prima coincide con la fine del trimestre o del quadrimestre, la seconda con la conclusione dell’anno scolastico (in realtà con l’esame di Stato, ma è un altro discorso e non è questa la sede per affrontarlo).
La valutazione in itinere dunque ha una funzione orientativa, quella periodica e finale invece ha una funzione rendicontativa.
Da mezzo secolo si parla anche di valutazione formativa. Vogliamo chiarire ancora una volta di cosa si tratta?
Un equivoco piuttosto diffuso, anche tra chi insegna, riguarda la differenza tra valutazione formativa e valutazione sommativa.
La prima, come evidenziava Benedetto Vertecchi già a partire dagli anni ’70 ha lo scopo di dare forma alla didattica in modo da offrire migliori occasioni di apprendimento. A tal fine, la valutazione formativa restituisce indicazioni precise su come si è svolta una prova e, se del caso, su come affrontarla meglio in futuro. Serve a orientare, migliorare, correggere. Per dirla con Laura Greenstein, è una valutazione per l’apprendimento, non solo dell’apprendimento.
La valutazione sommativa invece indica cosa si è appreso al termine del percorso didattico e «ha la funzione di bilancio consuntivo», come direbbe Domenici.
Risulta dunque evidente che solo la valutazione in itinere può avere una funzione formativa.
E veniamo allora alla valutazione descrittiva senza voti
Negli ultimi anni si è riacceso il dibattito sulla valutazione formativa, con particolare accento sulle prassi descrittive. Si tratta di modalità valutative non nuove, ma che recentemente hanno ritrovato slancio anche grazie a una lettura più attenta dello Statuto delle studentesse e degli studenti.
L’articolo 2 comma 4 infatti dello Statuto riconosce il «diritto a una valutazione trasparente» e sempre più docenti interpretano quella trasparenza in chiave narrativa, ritenendo che un riscontro descrittivo spieghi meglio di un numero i punti di forza e i punti di debolezza emersi in una prova.
Chi valuta in itinere con i riscontri descrittivi impiega indubbiamente più tempo di chi usa i voti, soprattutto se li collega all’autovalutazione. Questo surplus di lavoro, tuttavia, è ritenuto parte della didattica e viene in parte compensato da rendimenti migliori, che fanno risparmiare tempo nei recuperi e nei colloqui con le famiglie. Chi attua la valutazione in itinere senza voti, inoltre, ritiene che essa migliori le relazioni tra studenti e docenti e attenui l’ansia da prestazione.



