
La violenza di genere è un problema ancora persistente nella nostra società. Dal palco del congresso nazionale della Cisl Scuola a Trieste, Gino Cecchettin, papà di Giulia, è tornato a parlare di femminicidi e degli stereotipi radicati nel tessuto sociale.
“Questo problema lo risolviamo io e te da uomo a uomo”. È quel classico modo di dire che se lo sente un bambino piccolo, capisce subito che un problema da uomo a uomo si risolve molto meglio che non da donna a donna. Ed è lì che dobbiamo partire, iniziando a far capire che questa disparità che c’è tra maschi e femmine va combattuta fin dall’inizio” ha spiegato Cecchettin.
“Secondo alcune pedagogiste che insegnano all’università ci sono moltissimi testi a scuola ancora intrisi di sessismo perché fin dalle elementari si dice che la mamma è a casa a fare la lavatrice, mentre il papà è in ufficio o fa il manager e quando dicono una persona che fa il manager, più dell’80% dei bambini identifica un maschio, una disparità di genere che poi si ritrova nei salari e nel quotidiano“.
Cosa si può fare? Secondo Cecchettin bisogna cercare di capire dove sono queste disparità e cercare di capire cosa possiamo fare noi per combatterle, uscire un po’ dalla zona di comfort ed empatizzare con la persona che sta vivendo una violenza e capire cosa c’è attorno a lei, dando più forza, più energia all’empatia di ognuno.
Arrabbiarsi non porta a nulla
“Difficilmente adesso mi arrabbio, perché ho imparato che arrabbiarsi non porta a nulla” – spiega il papà di Giulia – difficilmente trovo soluzioni in un problema con l’acredine, con l’invidia, perché il fatto di fare una fondazione in un momento di profondo, dolore mi ha fatto capire che non è l’emozione negativa che ti guida, quello che possiamo fare noi è questo, iniziare nel quotidiano a tenere da parte queste emozioni negative e attingere invece dal nostro serbatoio di emozioni positive che ci permettono di fare cose inaudite, di creare valore quotidianamente anche di fronte alle più grandi avversità e farlo nel quotidiano significa essere un esempio per chi abbiamo attorno”.
La violenza sulle ragazze
Alle ragazze bisogna infondere coraggio – continua Gino Cecchettin – perché quando si è vittima di violenza bisogna denunciare, soprattutto se è violenza che va al di là del patto sociale e poi bisogna mettere attorno un sistema, fatto di persone che sono in grado di aiutare dal supporto psicologico, all’aiuto in famiglia e all’aiuto dei servizi dell’ordine, quando chiaramente la violenza supera il limite del consentito. Ma soprattutto dovremmo far sì che questo non avvenga. È per questo che noi ci battiamo tanto per quella cultura che non dovrebbe far sì che ci sia prevaricazione nel momento in cui c’è. Ecco, infatti le attività della fondazione si dividono in due: aiutare chi è vittima di violenza e nel contempo cercare che questo non avvenga o avvenga il meno possibile”.
Ma la violenza di genere, i femminicidi e gli stereotipi si trovano a tutte le latitudini, conclude Cecchettin:
“Prima che succedesse di Giulia, mi reputavo parte del problema perché quando leggevo di un femminicidio restavo quei 5-10 minuti mentre leggevo l’articolo del giornale, provavo a pensare a quel genitore, ma in quanto genitore, ma poi continuavo nella vita di tutti i giorni senza minimamente pensare che i miei figli potessero essere parte di questo problema, perché poi alla fine immagini quello che è il tuo contesto sociale e ti vedi più o meno al sicuro. Poi scopri che tua figlia faceva l’università e il fidanzato faceva anche l’università e quindi vedi, quando questo succede in un ambiente che tutto sommato non è la periferia della città, non è l’ambiente degradato, e scopri che invece è un problema pervasivo che esiste in ogni strato sociale, in ogni latitudine, perché esiste anche negli stati più avanzati come gli stati del nord e gli esperti lo identificano proprio perché questi costrutti sociali sono intrinsecamente inseriti in noi”.