Home Attualità Cara Littizzetto, non tutti gli insegnanti possono essere empatici!

Cara Littizzetto, non tutti gli insegnanti possono essere empatici!

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente intervento di Giovanna Lo Presti, ex insegnante e scrittrice, sulle recenti dichiarazioni di Luciana Littizzetto.

Una celebre frase di Lorenzo Milani afferma che i pedagogisti non hanno bisogno di vedere i ragazzi, tanto li “sanno a memoria”. Forse sarà presunzione ma anche a me sembra di conoscere la scuola a memoria; da alcune settimane non me ne interesso eppure in questi ultimi giorni, scorrendo i titoli delle principali testate giornalistiche e scolastiche mi sembrava proprio di aver già letto e riletto tutto in tempi precedenti. Le classi-pollaio permangono, nonostante i fondi del PNRR; i quali stanno prendendo la direzione prevedibile, quella della digitalizzazione e dell’“innovazione didattica”, senza tener in conto che nessuna buona didattica è possibile in aule sovraffollate.

La regionalizzazione incombe come uno spettro sul territorio nazionale. Per alcuni sembra la panacea di tutti mali: e lo si afferma senza riflettere sul bilancio fallimentare dell’“autonomia scolastica” voluta dall’allora ministro Berlinguer e della quale, a più di due decenni di distanza, possiamo cogliere gli effetti negativi sul sistema dell’istruzione. Ecco poi le “metodologie didattiche”, sempre all’ordine del giorno. Da quanto tempo ci si arrovella su “come” insegnare, mettendo da parte il “cosa” e il “perché”? Ogni anno ci ha portato, in questo ambito, una trouvaille, una apparentemente nuova acrobazia didattico-metodologica. Resta il fatto che ancora adesso va per la maggiore la “didattica attiva”, quella stessa che Lucio Mastronardi mise mirabilmente alla berlina ne “Il maestro di Vigevano“:

 Che lezione ha preparato per stamattina, signor maestro Mombelli?
– Una lezione su … Cristoforo Colombo!- dissi.
Feci aprire il libro agli scolari e cominciai a spiegare.
– Ma questa è una lezione libresca. Via il libresco – gridò il direttore. – Scuola attiva! Scuola viva! Drammatizziamo, signor maestro, drammatizziamo! Scolari, in piedi … voi siete la ciurma! Tu sarai Cristoforo Colombo – disse a un ragazzino: – il vostro signor maestro sarà il marinaio che guarda se si vede la terra … Signor maestro, vada alla finestra … Non ha un cannocchiale?
– Veramente no!
– Non importa! L’ontogenesi ripete la filogenesi. Il fanciullo ha tanta fantasia da sostituire col pensiero l’idea degli occhiali con quella del cannocchiale.

Era il 1962 e l’unica cosa che è cambiata, da allora è che pochi, tra gli insegnanti, hanno mantenuto la giusta diffidenza rispetto a Flipped classroom, Circle time o Role playing. La confusione è tanta, da troppo tempo. Così c’è qualcuno che vorrebbe cambiare l’insegnamento della Matematica “perché è troppo astratto” (sic! lo ha detto Valditara) mentre qualcun altro introduce metafisiche astrazioni nella grammatica, sostituendo definizioni usurate con altre nuove di zecca: la “grammatica della verbodipendenza”, il “verbo zerovalente” (per i verbi impersonali), cui seguono i monovalenti, bivalenti, trivalenti, quadrivalenti etc. Gli elementi aggregati al verbo sono chiamati – era ora! – argomenti. Ma quali complementi! Tutto questo suona, secondo certi filoneisti (neologismo che ho inventato adesso: il contrario di “misoneisti”. Gli uni amano il nuovo, gli altri lo detestano. Quasi sempre il problema sta altrove) molto più semplice e molto più attraente del classico soggetto-verbo-complemento, troppo, davvero troppo consolidato dall’uso. Insomma, un po’ di maquillage non fa male a nessuno.

Ma andiamo avanti: tra gli argomenti scolastici ricorrenti ritrovo il solito, drammatico elenco di mal funzionamenti: vincoli alla mobilità mai risolti, GPS nel caos, la necessità (per il Governo) di trasferire fondi alle private per garantire “libertà di scelta educativa”, gli atti di violenza di adolescenti nei confronti di loro coetanei, la “questione del merito”, gli stipendi dei supplenti – di quelli precari tra i precari, poiché hanno una supplenza breve e non vengono pagati: il grido d’allarme vede uniti i sindacati, istituzionali o di base non importa.

A caso (potere di Internet), leggo su La Repubblica del 9 giugno 2014: “Supplenti “brevi” senza retribuzione da febbraio, costretti a pagarsi di tasca propria trasferte e pernottamenti”. Le cause di questa perniciosa disfunzione, che lascia senza sostentamento proprio chi ne avrebbe più bisogno sono ben note, ma nessuno pensa a porvi rimedio. Basterebbe trasferire i soldi sul bilancio delle scuole con debito anticipo, basandosi sulla media del fabbisogno per supplenze brevi degli anni precedenti, basterebbe l’efficienza nelle procedure e il problema sarebbe risolto. Troppo semplice; meglio smuovere sindacati ormai a corto di idee e pronti a sostenere l’ennesimo ricorso, a minacciare l’ennesima azione legale per far sì che i lavoratori ottengano ciò che loro è dovuto.

Ultimo, per concludere questa saga in cui le stesse cose ritornano, il recente intervento di Luciana Littizzetto sul caso della docente contro cui gli studenti hanno sparato con la pistola ad aria compressa.

Littizzetto, che è stata insegnante e quindi sembra quasi parlare dal pulpito, non ha dubbi: “E’ anche colpa del professore, è l’empatia, è quel qualcosa che fa intuire ai ragazzi che li ami, che sei lì perché ti piace, ti interessa veramente quello che pensano. Se riesci a creare questa sensazione non ti sparano con la pistola ad aria compressa”.

Le risponde il ministro Valditara: Quando uno studente spara ad un insegnante non ci sono se e non ci sono ma. Educhiamo al rispetto sempre e comunque”.

Se non sbaglio, Valditara ero quello stesso Ministro che pensava qualche settimana fa che umiliare gli studenti non fosse poi così male. Ma sì, la coerenza è totalmente fuori moda, così come il buon senso.

Comunque, proviamo ad applicarlo, il buon senso: la richiesta di “empatia” da parte degli insegnanti avanzata da Littizzetto dovrebbe fare i conti con la realtà dei fatti. Non tutti gli insegnanti possono essere “empatici”, così come non lo sono tutti i medici o tutti gli infermieri. Non è certo una soluzione considerare colpevoli i non-empatici; e nemmeno ha senso operativo la richiesta ministeriale di rispetto “senza se e senza ma”.

Queste sono frasi vuote che non indicano nessuna via d’uscita. La verità è che risolvere il problema della mancanza di disciplina nelle aule scolastiche non è affatto semplice. La malafede di chi offre soluzioni banali a problemi complessi non è giustificabile, soprattutto quando a parlare non sono persone qualsiasi. Eppure sia l’attrice sia il Ministro sono pronti ad abbracciare un luogo comune e a spacciarlo come idea, contribuendo così a consolidare il pensiero conformista, che è la prima causa dell’immobilismo che tocca la scuola, il lavoro, la società e che è anche il nemico insidioso da cui, chi vuol ragionare di sistemi complessi, si dovrebbe guardare.

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