Home I lettori ci scrivono Concorso dirigenti scolastici, nessuna verità è coperta

Concorso dirigenti scolastici, nessuna verità è coperta

CONDIVIDI

Mi corre l’obbligo di fare alcune puntualizzazioni, a tutela della verità, su alcune affermazioni del professore Vincenzo Nicolosi, il quale distorce  il contenuto del mio articolo/lettera dal titolo “Quello che i media non dicono”.

Premetto che la sottoscritta, sia per deontologia professionale sia per etica personale, non è affatto adusa a “coprire la verità”; anzi, al contrario, ha sempre interesse a conoscere e far conoscere i fatti. Ed è per questo motivo che ho letto con molta attenzione la sentenza del Tar Lazio, tenendo a chiarire che il Tribunale non si è limitato ad annullare la correzione delle prove scritte per presunta incompatibilità di tre commissari, ma ha anche bocciato ben dieci censure dei ricorrenti. Ciò premesso, vorrei fare le seguenti precisazioni.

Intanto, il professor Nicolosi, il quale, probabilmente, ha letto il mio testo con poca attenzione, ha frainteso il punto in cui si parlava di Martano. In quel punto della lettera si parlava, infatti, non della incompatibilità dei tre commissari, bensì della presunta “illegittimità” del Comitato Tecnico scientifico, l’ultima delle 10 censure rigettate dal Tar Lazio. Invito, pertanto, il prof. Nicolosi a rileggere (con più attenzione) le parole del Tar Lazio che rigetta tale censura affermando che: “Il dottor Martano non ha mai partecipato ai lavori del Comitato, essendo nominato in qualità di supplente”.

Invito, inoltre il professore a rileggere tutto quanto ha rigettato il Tar Lazio (Sezione Terza Bis) il giorno 2 luglio 2019 (magistrati Giuseppe Sapone, Alfonso Graziano, Claudia Lattanzi), perché è nel testo della sentenza, e non certo nella mia lettera, che viene usata a più riprese la parola “infondatezza”.

Non mi sarei mai permessa di dare arbitraria interpretazione di una sentenza modificandone anche un solo termine, come invece ritiene, evidentemente, di poter fare il professore Nicolosi, affermando che i giudici del Tar abbiano rigettato i motivi dei ricorrenti “per mancanza di tempo per approfonditi” (?). Un’affermazione, peraltro, inquietante (e non mi riferisco certo all’errore), che non si capisce bene cosa significhi.

Tornando all’infondatezza, termine che il professore Nicolosi sostiene di non aver mai trovato nella sentenza del Tar, vale la pena, a questo punto, riportare integralmente le risposte testuali del Tribunale amministrativo, in particolare su alcune censure. Affinché i lettori sappiano, in modo chiaro e inequivocabile, qual è la verità del Tar Lazio, nero su bianco.

Con la censura n°6 la ricorrente contesta il fatto che che le sotto-commissioni non hanno formalizzato la compilazione delle griglie di valutazione secondo le indicazioni dettate nel verbale del 25 gennaio 2019.

Il Tar rigetta la censura con le testuali parole: “Anche siffatta censura si profila destituita di fondamento atteso che da un lato si risolve in una mera irregolarità priva di idoneità viziante le operazioni di valutazione avversate. Dall’altro non si è in grado di comprendere in che misura la lamentata irregolarità abbia codeterminato l’esito della prova da parte del ricorrente. Alcuna violazione del principio dell’anonimato è dato al Collegio cogliere nelle descritte operazioni concorsuali”.

Con la censura n°8, i ricorrenti affermano che l’esito della selezione concorsuale è risultato inevitabilmente compromesso a causa dell’erronea formulazione di due quesiti che non erano strutturati come domanda diretta, ma si connotavano per essere dei “casi”, richiedendo quindi l’individuazione di soluzioni concrete a specifiche problematiche.

Il Tar la rigetta con le testuali parole: “Le censure appaiono al Collegio inammissibili e infondate. Al riguardo non può sottacersi che la ricorrente, con tutti i casi posti in discussione e nei quali si contestano le risposte ritenute esatte o inesatte dal Ministero a vari quesiti, propone e sollecita a questo Giudice un sindacato di merito sulla discrezionalità tecnica che in subietta materia è riservata costituzionalmente all’Amministrazione”.

Sulla presunta violazione dell’anonimato, censura n°5, con cui la ricorrente contesta che il codice meccanografico era oggettivamente conoscibile prima dell’assegnazione alle commissioni, il Tar risponde testualmente: La doglianza appare priva di fondamento e va conseguentemente disattesa. La lex specialis prevedeva infatti che durante la prova il candidato inserisse codice personale e scheda anagrafica in busta internografata senza sigillarla: “Il candidato estrae un codice personale anonimo dall’urna (…); Al candidato viene consegnato e fatto firmare il proprio modulo anagrafico; Si consegna al candidato una busta internografata e gli si comunica di conservarvi all’interno entrambi i moduli ricevuti senza sigillare la busta; Il candidato viene fatto accomodare e, subito dopo, inserisce il codice personale anonimo per sbloccare la postazione. Il candidato ripone il codice personale anonimo nella busta internografata a lui consegnata senza sigillarla (…)”. Tuttavia a garanzia dell’anonimato veniva parimenti prescritto che al termine della prova “il candidato ripone il modulo anagrafico ed il modulo contenente il codice personale anonimo all’interno della busta internografata che gli è stata consegnata all’atto della registrazione e la sigilla”. Ne consegue che alcuna violazione del principio dell’anonimato è dato al Collegio cogliere nelle descritte operazioni concorsuali posto che al termine della prova le generalità del candidato e il suo codice personale identificativo venivano inserite in una busta della quale era prescritta la sigillatura. Il Miur ha poi dettagliatamente allegato con la relazione del direttore generale 28240 del 14.6.2019, che i moduli risposte e quello anagrafico consegnati ai candidati venivano riposti in una busta internografata parimenti consegnatagli, sigillata dal candidato e a sua volta inserita in una busta A4 parimenti sigillata e siglata sui lembi. Quest’ultima busta già sigillata veniva poi inserita insieme alla chiavetta USB contenente il file delle risposte, ai codici personali agli oroginali dei verbali d’aula e del registro cartaceo, in un plico formato A3 sui cui lembi di chiusura il comitato di vigilanza apponeva firma e data. Tutti i plichi finali contenenti tutta la documentazione della prova in due buste più piccole sigillate, venivano poi consegnati in sicurezza ai Direttori degli Usr regionali e da questi recapitati al Ministero affinchè venissero assunti in custodia dai carabinieri fino alla conclusione della correzione…Solo alla fine delle operazioni di correzione degli elaborati e al momento dello scioglimento dell’anonimato, alla presenza dei carabinieri venivano effettuate le attività di associazione dei codici anonimi identificativi della prova con i codici fiscali dei candidati e la relativa identità di ciascuno di essi”.

Infine, sul rinvio della prova scritta in Sardegna, che secondo la ricorrente avrebbe violato il principio di unicità della prova su tutto il territorio nazione per come previsto dal bando, il Tar afferma testualmente: “Anche siffatta doglianza non coglie nel segno.

Le eccezioni al principio di unicità della prova sono ammesse in casi eccezionali, tra i quali sicuramente deve farsi rientrare l’improvvisa ed imprevedibile chiusura delle scuole disposta dalle competenti autorità in Sardegna. Irragionevole, infatti, sarebbe risultato disporre lo slittamento della prova su tutto il territorio nazionale a cagione della oggettiva impossibilità di svolgimento nella data prestabilita, della disponibilità delle sedi inerenti la sola Regione Sardegna. Stenta inoltre il Collegio a individuare il nesso di compromissione dell’esito della prova svolta, che viene eo ipso inammissibilmente fatto discendere dal procrastinamento della prova relativa ai candidati della regione Sardegna. Ancora, lo stesso Tar Lazio, con sentenza n° 11904/2014 ha ritenuto infondate le censure relative alla violazione del principio di contestualità delle prove in quanto “la non coincidenza dell’ora di inizio delle prove in ciascuna delle sedi in cui si svolgevano (di cui peraltro non era neanche ragionevolmente possibile garantire la perfetta coincidenza anche in conseguenza della diversa dislocazione delle stesse) non può ritenersi determinante in assenza di precise adduzioni” tali da invalidare lo svolgimento della prova e pertanto “non può che restare a livello di denuncia generica e come tale non rivestente valenza ove addotta i sede giudiziaria. Il motivo va pertanto respinto”.

Antonella Mongiardo