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Covid, varianti e numeri fanno paura ma le scuole riapriranno: a costo di mettere il “bavaglio” alle Regioni [IL PUNTO]

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La scuola continua a stare al centro delle polemiche. Anche mercoledì 31 marzo, ultimo giorno di lezioni in presenza o in DaD prima delle festività pasquali, dei gruppi organizzati di genitori, insegnanti e studenti, capitanati dal Comitato Priorità alla scuola, si ritroveranno per chiedere l’apertura generalizzata degli istituti subito dopo Pasqua.

Le proteste contro la DaD

“Il 7 aprile tutti i bambini e i ragazzi, indipendentemente dal colore della regione di residenza, devono poter tornare a scuola in presenza, in sicurezza, in continuità. Il diritto allo studio e la socialità devono essere garantiti a tutti minori, che in questa pandemia hanno già pagato un prezzo altissimo a discapito della loro salute psicofisica, come dimostrato da numerosi studi scientifici, nazionali e internazionali”, ha detto la leader Costanza Margiotta.

Dati poco rassicuranti

La richiesta arriva, però, assieme all’ennesimo rapporto poco rassicurante dell’Istituto superiore di sanità sulla diffusione delle varianti del Coronavirus. Con i numeri dell’ultimo giorno che fanno ancora paura: oltre 16 mila contagiati e ben 529 deceduti.

Al governo vi sono dei ministri che non ce la fanno a pensare che il peggio è passato. “La linea dura che sarà confermata nelle prossime ore dal nuovo decreto legge Covid: niente zone gialle per tutto aprile, solo arancioni e rosse”, scrive l’Ansa.

Del resto, gli esperti del Cts hanno spiegato a più riprese al governo che le misure da zona gialla non sembrano in grado di frenare la curva dei contagi, soprattutto in relazione alle varianti Covid. Quelle che colpiscono tutti, anche i giovani.

Il maxi studio non proprio affidabile

Varianti che non sarebbero state prese in considerazione nel maxi studio interdisciplinare, che ha visto coinvolti epidemiologi, medici, biologi e statistici, tra cui Sara Gandini dello Ieo di Milano, pubblicato sul Corriere della Sera, che tanto ha fatto discutere nei giorni scorsi, portando anche alcuni deputati a chiedere lumi, con un question time, al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.

Con il titolare del MI che si è ben visto dal replicare al quesito, i dubbi sono addirittura aumentati: soprattutto dopo che, spiega il Post, ha appurato che i risultati sono “relativi ormai a mesi fa, quando in Italia non c’era ancora evidenza della variante inglese” e “viene sottolineata la mancanza di dati affidabili”.

I dubbi del Post

“Con i dati risalenti a mesi fa”, infatti “non è possibile verificare l’impatto delle nuove varianti del coronavirus, più contagiose”.

Lo studio pubblicato dal Corriere della Sera, “poi, non sembra valutare con attenzione il fatto che i bambini hanno una maggiore probabilità di essere asintomatici: contagiati ma senza sintomi, sono difficili da individuare e potrebbero sfuggire al tracciamento, ma potrebbero comunque contribuire a diffondere il virus a scuola e in famiglia”.

In conclusione, Roberto De Vogli, epidemiologo dell’università di Padova, sostiene “che i risultati della ricerca non sono una base solida per dimostrare la sicurezza delle scuole”. 

Il governo non torna indietro

Dopo Pasqua, comunque, il governo conferma l’intenzione di far tornare tutti in classe almeno fino alla prima media. Anche se dei dispositivi annunciati su larga scala, in particolare i tamponi per gli studenti e delle mascherine FFP2, già non si parla più.

La decisione del governo Draghi è presa: dal 7 aprile torneranno in presenza gli alunni fino a 12 anni pure nelle zone rosse, mentre in quelle arancioni saranno in classe quelli fino alla terza media e delle superiori (con quest’ultimi al 50%).

A rischio il potere decisionale delle Regioni

E potrebbe essere anche prevista l’indicazione che impedisce alle Regioni di emanare misure più restrittive e chiudere le scuole. Che è poi quello che ha detto Draghi nella conferenza stampa di venerdì: “Le scelte dei governatori dovranno essere riconsiderate alla luce dell’affermazione del governo che la scuola in presenza è obiettivo primario della politica del governo”.

Il provvedimento (che secondo più di qualcuno conteerrebbe una incompatibilità costituzionale) lo potremmo trovare nel decreto legge che entrerà in vigore il 7 aprile e che arriverà nel pomeriggio dell’ultimo giorno di marzo sul tavolo del Consiglio dei ministri, dopo la mediazione del premier Mario Draghi tra chi in CdM temi una nuova escalation di contagi e chi invece pensa già ad allargare le maglie.

Vaccino obbligatorio per chi opera nella Sanità

La norma più ‘forte’ è sicuramente quella che prevede l’obbligo di vaccinazione per tutto il personale della sanità. In un primo momento si era valutato di disporre l’obbligo solo per i medici che lavorano a contatto con i malati ma l’ipotesi che si sta facendo strada in queste ore è di estendere il provvedimento a chiunque lavori in una struttura sanitaria: medici, infermieri, operatori sociosanitari, dipendenti di Rsa e studi privati.

Per chi rifiuta il vaccino non ci sarà il licenziamento, ma la sospensione dello stipendio per un tempo congruo all’andamento della pandemia.

E quando si raggiungerà l’immunizzazione di massa o si registrerà un calo importante della diffusione del virus, la sanzione dovrebbe essere revocata.

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