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E perché mai la “trasmissione del sapere” non può coesistere con dialogo e creatività?

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La lettura dell’intervista, pubblicata il 10 aprile, “Indicazioni Nazionali lingua italiana, un colpo di spugna su Mario Lodi, Rodari e De Mauro”, mi ha lasciato, più che perplesso, addirittura trasecolato. Alcune affermazioni di Silvana Loiero, intervistata in merito alle Nuove Indicazioni Nazionali, in fase (pare) di ultimazione, mi risultano del tutto incomprensibili. Vado ad esprimere qualche considerazione come cittadino, oltre che come docente. Seguo per chiarezza espositiva una sequenza per punti, partendo dalle affermazioni della Loiero.

  1. …nelle Indicazioni Nazionali “c’è ben più di un ritorno alle regole, c’è il rischio di una riduzione della lingua a un sistema rigido di norme, dove la creatività, il pensiero critico e la pluralità linguistica rischiano di restare fuori dalla porta.…”. Ebbene – sia permesso di capire – perché mai il ritorno al rispetto delle “regole” ha in sé qualcosa di negativo? Perché? Inoltre: chi ha detto che il rispetto delle regole uccide la creatività e il pensiero critico? Come docente vedo ogni giorno esattamente l’opposto: nella gran parte dei casi, quando emerge la capacità di sviluppare un pensiero critico, accade da parte di alunni che sono nel contempo più capaci di rispettare le regole linguistiche, evidentemente perché qualcuno gliele ha ben insegnate.
  2. …Nelle frasi delle Indicazioni “ci sono termini che in tutti questi anni avevamo cercato di cancellare dal lessico scolastico; speravamo di aver eliminato la scuola trasmissiva a favore della scuola del dialogo, ma adesso questo termine ritorna”. Diamine, ma è proprio certa che la “scuola trasmissiva”, che se ho ben capito è quella nella quale il docente trasmette ai discenti – brutto termine anche questo? – dei contenuti e – certo – delle regole, sia così esecrabile?
  3. …“E speravamo anche di aver cancellato il termine “correttezza””. Che dire? Qui sono letteralmente sobbalzato sulla sedia. Di grazia, cosa c’è di demoniaco e magari di anti-democratico nel pretendere che la lingua, con le sue regole, venga utilizzata in modo corretto? Quindi, a parere di Loiero, quando si evidenzia da più parti e da anni che, a furia di lasciar correre, la conoscenza della lingua italiana di molti nostri studenti è sprofondata in un baratro – parlo anche per quello che vedo, purtroppo, ogni giorno, ovvero un vituperio alla nostra lingua da parte di molti alunni della scuola secondaria di secondo grado, fino alla quinta – è forse fantasia di qualcuno che ha una visione un po’ d’antan della scuola, oppure finanche una mera paranoia di reazionari non osservanti di certi pedagogismi che hanno plasmato la scuola italiana nell’ultimo mezzo secolo, peraltro con risultati eufemisticamente non brillanti? Domando alla Loiero: le pare proprio irrilevante che numerosi alunni arrivino alla scuola secondaria di secondo grado senza sapere usare accenti, apostrofi, senza sapere quando si usa la lettera maiuscola, quando la “a” vuole la “h” davanti? Ed è forse da “bacchettoni” della scuola insegnare ancora la grammatica, l’ortografia, la sintassi?

Nel complesso, constato che Silvana Loiero insiste su presunte dicotomie che non esistono e che sembrano servire al solo scopo di scardinare i presupposti su cui si fonda una scuola che voglia essere anche – anche, appunto – rigorosa. Perché la correttezza dovrebbe uccidere la creatività? Quanti scrittori di vaglia, del presente come del passato, conosce che non abbiano saputo abbinare a un grande estro creativo la capacità di padroneggiare al meglio la lingua in cui si sono espressi? E non è forse vero che, solo per citare un banale esempio, persino un grande chef nel suo lavoro esercita la propria creatività seguendo però alcune basilari regole? Perché poi questa idiosincrasia per la “correttezza”, pilastro di ogni forma del sapere e non solo? E ci può spiegare meglio su cosa poggia la visione manichea che propugna una presunta inconciliabilità tra la trasmissione del sapere e un approccio anche dialogico nella didattica?

Sergio Mantovani