
L’anno scolastico è finito, meno male. Avremo così il tempo per scegliere, per il futuro, le modalità e gli strumenti giusti per correggere i compiti (oltre le quasi superflue griglie di valutazione) e, soprattutto, quale colore utilizzare per segnare gli errori (gravi o meno gravi).
Sembra quasi un fumoso e ozioso discorso da fare, per sfuggire alla noia d’estate, sotto il sole cocente di agosto. Ma non è così. Studi relativamente recenti (e forse tendenti alla generalizzazione) sui disturbi dell’apprendimento (in campo neuropsicologico) hanno evidenziato come il rosso possa attivare stress, ansia e depressione negli studenti ‘fragili’ (e non solo, diciamo per le nuove generazioni) compromettendone le performance cognitive e l’autostima. Il colore rosso può essere traumatico e nuocere sensibilmente e indelebilmente alla crescita dell’allievo. Di fronte a tali conclusioni della scienza, constatata una (presunta) debolezza delle generazioni nate dopo il 2000, per evitare di essere di nocumento ai giovani, non resta che ‘togliere’ di mezzo il tradizionale colore rosso per correzioni (errori, imperfezioni o correzioni in generale) e, a questo punto, anche il blu intenso (per evidenziare errori gravi), ugualmente dannoso e traumatico per i nostri giovani. Fatto questo ci si deve orientare, come raccomandano gli esperti, verso colori più tenui o meno aggressivi (il verde, il rosa e, in via eccezionale, anche il nero, un nero sfumato direi, o nuances di color
Se questa è la situazione occorre però soffermarci su alcuni punti.
- Non esiste (per quanto è dato sapere) nessuna legge che imponga quali colori scegliere per le correzioni dei compiti.
- Nell’ambito dell’autonomia scolastica e, soprattutto, della libertà di insegnamento, ogni docente può, entro certi limiti, adottare il metodo di correzione e i colori atti ad evidenziare la gravità dell’errore, in base alle sue convinzioni (informando e condividendo con gli alunni il suo ‘modus operandi’). Si può anche usare un solo colore (una penna blu o nera) per tutti i tipi di errori, segnalandone la gravità o con brevi note a margine o con maggiore o minori sottolineature (o cerchiature).
- L’errore, lo sbaglio, il brutto voto non deve determinare alcun trauma. Si viene a scuola per imparare e si impara (anche e soprattutto) attraverso gli errori che devono essere ben sottolineati (senza alcun intento di rimprovero) dal docente.
- La correzione, infatti, deve servire a far comprendere bene gli errori commessi per evitarli in futuro. Si tratta dunque di attivare un feedback positivo e costruttivo che incoraggi e motivi gli studenti a far bene, senza cadere in stati depressivi.
- La correzione non si compone solo di colori, giudizi scritti e voti. Si potrebbe dire che il suo elemento principale risiede nel dialogo tra il docente e l’allievo. L’insegnante non deve demonizzare l’errore e il discente non deve arrendersi. Occorre, invece, calmare l’allievo (niente eccessivi stati d’ansia, logoranti stress, o irrimediabili traumi psicologici), spiegargli bene dove ha sbagliato, vedere se ha compreso il suo errore e cercare di rassicurarlo, motivarlo, caricarlo e dargli fiducia (ovviamente sono necessari la volontà, la determinazione, lo sforzo e l’impegno del discente). In seguito il ragazzo dovrà dimostrare di aver fatto tesoro delle spiegazioni del ‘maestro’, di aver moltiplicato i suoi sforzi scolastici e il suo impegno a riuscire, di aver conseguito un progresso, anche minimo, e dovrà confermare di aver compreso che la conoscenza è una conquista, spesso faticosa, e un voto positivo o sufficiente non deve essere un ‘regalo’, ma il frutto di una continua e tenace applicazione.
- Evitare traumi ‘lesivi’ e ‘irreversibili’, certo. Non dimentichiamo però che un piccolo trauma psicologico (se ben gestito, assistito e superato) può essere utile, anzi necessario, per vincere eventuali problemi di comprensione e può aiutare il percorso di crescita e di maturazione del ragazzo.
In realtà questa circoscritta ‘querelle’ sui colori si inserisce in un discorso sociale più ampio: la ‘fragilità’ (reale, presunta o percepita) delle ultime generazioni (di ‘cristallo’), secondo gli esperti, che spesso porta la scuola ad avere verso di loro un atteggiamento esageratamente accondiscendente, materno, quasi arrendevole. Ma siamo sicuri di questa ‘fragilità’ naturale o siamo noi docenti, con una smisurata attenzione a non urtare l’estrema sensibilità degli allievi e una disarmante cedevolezza, a rendere i ragazzi fragili o, nel caso lo siano veramente, ad aumentarne la fragilità? Non sarebbe dunque il caso di temperare l’indulgenza senza confini con una sobria fermezza? Lo stesso discorso si può rivolgere alle famiglie, troppo iperprotettive, garantiste, ansiose e… ‘fragili’ che, pur in buona fede, non recano giovamento ai loro figli. Spesso, poi, le generazioni di ‘cristallo’ (così vengono definite) si dimostrano (sorprendentemente) più resilienti di quanto si pensi e, comunque, accanto a ‘cristalli’ vi è anche dell’‘acciaio’ (più di quanto s’immagini) come dimostra il disegno di legge presentato in Parlamento sugli alunni plus-dotati.
Sotto il sole cocente e ‘rosso’ d’agosto, dunque, si dovrà meditare su nuove modalità di correzione. Un consiglio però, per quanto vale. Non abbandoniamo il rosso, usiamolo invece con avvedutezza, discernimento ed intelligenza.
Andrea Ceriani