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Fast and rottamatorious. Renzi, i suoi obiettivi personali e l’offensiva sulla scuola italiana

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Tutti (Renzi compreso) protagonisti di una pazza corsa in cui non ci si cura troppo di eventuali danni collaterali e vittime, purché si consegua l’obiettivo.

Il Renzi Fast and Furious è potuto arrivare fin qui in politica perché ha saputo vendere l’idea vincente dell’uomo politico capace finalmente di combattere l’incancrenito male italiano dell’immobilismo. Egli è pertanto condannato, almeno per ora, a dare continuamente all’opinione pubblica l’idea non solo di muoversi, ma di farlo rapidamente, di voler e poter abbattere ogni blocco costituito da ideologie, prassi, abitudini mentali, diritti acquisiti, carriere intoccabili.

Rottamare (“e senza incentivi”) è stato il suo mantra: una metafora semplice, per un messaggio ben comprensibile da tutti. Ha cominciato proponendo il pensionamento anticipato di una intera generazione di colleghi di partito, ma si è capito presto che quello era solo il “big bang” iniziale e che il suo universo rottamatorio si sarebbe espanso inarrestabile fino a inghiottire istituti, norme e consuetudini inveterate.

Si badi che il premier non pare particolarmente preoccupato degli esiti dei cambiamenti che vuole imporre con la sua leadership. A lui interessa, politicamente, il cambiamento in sé e, soprattutto, la riconoscibilità politica di quel cambiamento, la sua facile leggibilità. Perché sa che, al netto dei tecnicismi, è questo che verrà globalmente percepito dalla gente. Ecco perché si adopera da tempo a rottamare soprattutto una cosa: simboli.

Renzi si è pertanto scagliato con veemenza contro obiettivi che rappresentassero non solo aspetti dell’immobilismo, ma che fossero soprattutto la rappresentazione tipica (e quindi socialmente riconosciuta) dell’immobilismo, dell’intoccabilità, del pantano politico. L’eliminazione di province, bicameralismo perfetto, vitalizi, articolo 18 (al di là delle valutazioni di merito che se ne possano dare), è per lui importante soprattutto per ciò che rappresenta più che per gli effettivi benefici che può generare in sé.

È bene che docenti e dirigenti scolastici capiscano prima possibile cosa è in gioco e quindi che per la scuola vale, per Renzi Fast and furious, lo stesso discorso. L’interesse politico del premier è infatti soprattutto e specificamente abbattere dei totem e lanciare segnali inequivocabili agli Italiani che la rottamazione non avrebbe risparmiato neanche la corporazione degli insegnanti (ma anche dei DS) con le sue ataviche certezze, che li avrebbe in qualche modo messi in riga. La valutazione discrezionale del merito e la chiamata diretta dei docenti all’interno degli albi territoriali (insieme comunque ad aspetti positivi che vanno considerati, come l’immissione di capitali nella scuola), vanno in questa direzione, vogliono cioè soprattutto comunicare un messaggio “a terzi”. Servono a fare curriculum per il futuro politico del premier, pennellate studiate ad arte per completare un narcisistico autoritratto di statista, per consentirgli di dire di aver fatto ciò che nessuno prima era riuscito a fare (non a tanto migliorare ciò che nessuno era prima riuscito a migliorare).

Chi vuole realmente migliorare un sistema complessa sa che non potrà ottenere alcun risultato andando contro l’opinione e il sentimento dominante dell’intera categoria che è la diretta destinataria dei cambiamenti che si vogliono introdurre. E chi non capisce questo, lungi dal proporsi come riformatore della scuola, farebbe bene a ritornarvi di corsa.

Quando infatti un provvedimento suscita una opposizione pressoché unanime nel comparto per il quale è pensato, ci sono solo due possibilità: o che quel comparto è costituito interamente da fannulloni incapaci di accettare il cambiamento e la propria messa in discussione (ed è, anche a pensare il peggio dei docenti italiani, una eventualità statisticamente piuttosto improbabile) oppure che quel provvedimento è palesemente assurdo e non ha alcuna intenzione di migliorare il sistema, ma solo di fare l’interesse politico e personale di chi lo ha voluto a tutti i costi (ipotesi obiettivamente un pò più probabile rispetto alla prima).

Capiamo la perversa e bulimica esigenza renziana di piazzare continuamente all’opinione pubblica la propria immagine di uomo del fare, ma egli rischia di essere ricordato tristemente come l’uomo dello sfasciare, pur di far vedere che ha fatto. Forse farebbe bene a decelerare un po’ e prendersi una buona volta del tempo perfino per pensare, prima che i danni diventino troppi, il nostro irrefrenabile e poco ariostesco Fast and Furious fiorentino.