Home Politica scolastica Giannini e il buco nell’ozono delle vacanze

Giannini e il buco nell’ozono delle vacanze

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Se la scuola non riesce più a parlare a tutti i ragazzi ma soltanto a quelli più pronti ad ascoltarla, crea adulti in parte alienati. Quali motivazioni dà allora?
Domanda impegnativa alla quale Giannini risponde affermando che della scuola in definitiva “negli ultimi 25 anni siano stati consumati ad affrontare le dinamiche sulla funzionalità del sistema e non gli aspetti strutturali.
La scuola non riesce fino in fondo ad assolvere il compito di e-ducere chi non parte da condizioni avvantaggiate, però ha passione, talento, magari obiettivi specifici. Solo parzialmente, perché mancano una visione generale e un obiettivo educativo fondante – che per un Paese di 61 milioni di abitanti è rendere possibile un avanzamento personale, culturale, sociale – e manca per gli insegnanti la percezione di fare un mestiere importante e retribuito in modo adeguato. Al centro ci deve essere un modo diverso di concepire la scuola – le scuole – nel tempo e nello spazio”
Certamente, continua la ministra, rispondendo a domande di altri intellettuali e scrittori presenti al forum, c’è il problema del reclutamento dei docenti, “della difficoltà di avere un ricambio generazionale, di regole di ingaggio ancora inadeguate. Ma la scuola racconta anche di esperienze che sono state un successo a metà, per esempio la scuola di formazione per insegnanti, la famosa Ssis poi diventata Pas (Percorsi abilitanti speciali) e poi Tfa (Tirocinio formativo attivo), cioè differenti modelli esterni al percorso di studi per far sì che si cominciasse a misurare il grado di empatia nella relazione con gli studenti – tutti modelli fallimentari, perché il grado di empatia, cioè la capacità didattica, si deve acquisire e sperimentare durante gli studi”.
“Ma questa è la vera grande risorsa della scuola e dell’università, la relazione asimmetrica tra maestro e allievo. Il maestro è portatore di un patrimonio di conoscenze che sa o dovrebbe saper tradurre in valori che consentano agli studenti di acquisire una visione critica. E, perché questo avvenga, ci dovrebbe essere non un percorso a ostacoli, ma un percorso che indirizza queste qualità se già ci sono, le misura o consente di acquisirle. Che cosa vedo possibile nella situazione italiana? Abbiamo già messo insieme tre sistemi diversi in 15 anni, abbiamo un blocco di 350-400 mila persone che aspettano, spesso con anni di servizio alle spalle, senza l’opportunità di essere stati misurati nei tempi giusti sulle loro qualità dottrinali e didattiche, e che ormai sono nella parte rassegnata della scuola. Il suo collega un’occasione l’ha avuta, ha vinto un concorso. Oggi bisogna avere il coraggio (lì si diventa molto impopolari) di tener conto, pur mettendo su un piano differente, dei 400 mila che aspettano l’inserimento, che forse non avverrà più attraverso il concorso, ma attraverso un riconoscimento del servizio acquisito. Quello che in generale è auspicabile è una continuità nella selezione: io l’ho annunciato e lo stiamo facendo, il prossimo anno partirà il concorso, come avrebbe dovuto essere nei 13 anni precedenti al 2012”.

Alla damando se sia possibile frenare gli abbandoni e le dispersioni e pensare a una scuola che riesca a valorizzare le eccellenze, ma anche coloro che sono più in difficoltà, Giannini dice che “manca nel nostro Paese, dalla scuola all’università, il senso di appartenenza alla realtà in cui si lavora, all’istituto o al dipartimento. Il senso di contribuire a un progetto.
Questo non avviene perché quella solitudine pedagogica, degli insegnanti ma anche del preside, molto spesso si traduce non nella ricerca del miglior progetto possibile per la tua scuola, ma nell’adempimento (con gradi diversi di impegno) di una linea che è quella del programma, delle indicazioni ministeriali, della preparazione agli esami… L’unico vero modo per stimolare un cambiamento radicale è al solito non la via legislativa, ma la via culturale. Quello che si può fare è mettere in discussione sul serio il ruolo dell’insegnante, quindi la sua necessaria formazione continua. E poi la valutazione di tutto questo meccanismo, per creare autonomia e responsabilità nella gestione e nell’organizzazione del progetto educativo, per stimolare questo senso di appartenenza che in alcuni Paesi è fortissimo”.
Ma c’è, secondo la ministra, un altro aspetto importante la “competizione. Non la competizione che divide tra scuola di serie A, quella dei Parioli, e scuola di serie B, quella dell’ultima periferia. È la competizione che dice: il nostro progetto cerca di esaltare al meglio le potenzialità che abbiamo”.
Diverso sarebbe invece per Giannini il tema della valutazione che è “stato un altro dei punti di partenza del progetto condiviso con «la Lettura». Quando ho visto un bambino in seconda elementare prendere 4, o 5, mi è sembrato assurdo. Un bambino alto così e questo voto così secco e netto”.
L’obiettivo è allora quello, dice la ministra, di “strappare i ragazzi alla strada. Uno Stato che ritiene che l’istruzione come la salute sia un bene pubblico fondamentale deve avere una visione centrale, un indirizzo politico, e farlo gestire in modi differenti, adattati a ciascun contesto”.
“C’è bisogno di tempo per fare grammatica, per studiare retorica, per leggere Virgilio in metrica o studiare scienze, ma c’è il drammatico bisogno di un tempo dedicato ad altro, magari a una dimensione interattiva e artigianale, per esempio sulla scrittura e sulla lettura. Il tempo non è solo un fatto culturale ma anche legislativo: servono visione e soldi. Pensate al buco nell’ozono che si crea tra il 9 giugno e 5 settembre, più o meno. Questo non significa che la scuola deve diventare una babysitter, lungi da me. Però, sono stata in Israele una settimana fa e mi hanno raccontato di questo straordinario ministro della scuola che sta cercando di fare una grande riforma: il principio è dare alla scuola anche il tempo estivo. In modo che gli studenti possano recuperare quella dimensione lì, il campus, creare quel senso di comunità che allora ti motiva anche come insegnante. Ti senti portatore di un progetto educativo. Il tempo è categoria fondamentale, come lo spazio. Noi stiamo facendo un grande lavoro di intervento sull’edilizia scolastica. Ma bisognerebbe poter andare oltre, quando costruisci o recuperi. Un’idea di Renzo Piano su cui stiamo ragionando e che trovo, nella sua semplicità, geniale è che la scuola abbia uno spazio dedicato all’apertura verso l’esterno, con l’ambiente, con la città. Un piano terra in cui tu non hai nulla, né aule né studio dei professori, ma ambienti in cui c’è tempo e spazio per un contatto con la comunità”.
Altro problema è quello della integrazione degli alunni stranieri, “dell’integrazione linguistica che si collega a quello della valutazione delle competenza e dell’integrazione culturale. Penso si debbano fare le due cose. Non solo valutazione, ma un processo di insegnamento dell’italiano come lingua seconda che sia finalmente strutturato. Oggi è affidato a insegnanti di buona volontà”.