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I guai della scuola non dipendono dal Covid-19

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In questo periodo di emergenze e di sfide la scuola inizia ad essere permeata dall’ansia, il domani appare impenetrabile e quasi ostile, il pensiero indugia e la comunicazione, nonostante le grandi risorse, si fa stancamente ripetitiva.

Al di là degli sforzi compiuti e delle immancabili critiche, è innegabile il fatto che la scuola si trovi in una situazione di perenne stato d’emergenza.

Bisogna riconoscere che i guai della scuola non dipendono dal Covid 19, ma vengono da lontano e affondano le radici nell’indifferenza con la quale si è affrontata l’emergenza educativa denunciata da anni.

La scuola italiana assomiglia sempre più ad un gioco caleidoscopico in cui s’affollano, si rincorrono e si sovrappongono immagini, proposte d’intervento affidate e lasciate, spesso, nelle mani del caso.

La prima e la più impegnativa delle sfide, per evitare la perdita di efficacia del lavoro scolastico, è quella di porre l’educazione al riparo da pericolose forme di riduttivismo.

La scuola italiana, dibattuta tra le ambiguità e le difficoltà del presente, gradualmente, perde di identità, di storia, di unità, di tensione valoriale e di specificità formativa che la fa apparire come un aggregato di individualità che danno spazio ad una pluralità di voci prive della effettiva capacità a lavorare insieme, a progettare insieme, a edificare insieme.

Manca quella unità d’intenti, mancano quelle premure, quegli interventi necessari e indispensabili per far sì che l’educativo possa acquisire consapevolezza della propria dignità, possa proporre il nuovo impregnato di cultura e non mascherato di folklore.

Risanare e modernizzare la scuola risulta un obiettivo particolarmente arduo. Da anni è legata a processi di involuzione e, per ritornare ad essere fedele alla sua missione, deve ripensare se stessa, situarsi nel contesto delle trasformazioni sociali, recuperare credibilità di servizio all’interno di una specifica struttura epistemologica.

Sotto la superficialità dell’oggi nell’affrontare i problemi specifici, si nascondono numerose incertezze e contraddizioni, l’indeterminatezza allarga i suoi spazi e le politiche scolastiche non riescono più a creare le condizioni favorevoli allo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica, a garantire una grande mobilità di personale, aggiornati strumenti e idonei spazi operativi che sono i fattori determinanti per raggiungere obiettivi e traguardi degni di un Paese civile e moderno.

La ricerca educativa è il più sicuro investimento della società.

Di fronte a un panorama così complesso, anziché animi generosi, decisi a cambiare rotta, carichi del coraggio necessario, indispensabile per evitare sprechi e sforzi inutili, per cercare e trovare soluzioni adeguate, troviamo l’ansia delle mode, la fretta del nuovo senza ricerca, il bisogno di un cammino senza direzione, la prospettiva di una meta senza significato.

Stiamo vivendo una difficile stagione culturale che ha reciso i legami con la nostra storia, con la nostra cultura, che ha ignorato le finalità e i bisogni fondamentali della scuola e dell’ educazione. Tutto ciò, ovviamente, non aiuta a rafforzare il compito ineludibile dell’ istruzione che è quello di contrastare validamente l’alienazione e la soppressione di antichi valori che si vedono compromessi dalla superficialità e dal potere travolgente dei social.

La scuola deve, pertanto, riappropriarsi di quella sensibilità antica utile per testimoniare se stessa; nel piccolo sentiero della quotidianità deve ritrovare il senso delle parole, della parola educazione in particolare, che, come aveva insegnato M. Heidegger, sono la casa del pensiero e l’epifania dell’essere.

La mancanza, a livello educativo, di un’organica azione progettuale e di un agire concreto volto a sviluppare il cambiamento in direzione dell’adeguamento della realtà ai bisogni individuali, alimenta forme di alienazione, di impotenza e, in generale, forme di disagio esistenziale che, in età adolescenziale, possono condurre alla perdita di identità e di ricerca di punti di riferimento.

Per conseguire nella nostra società uno sviluppo equilibrato ed un progresso armonico occorre, sostanzialmente, ritrovare il coraggio di educare, dare centralità all’insegnamento, accrescere la formazione. Solo in tal modo e in questa ottica la scuola occuperà il posto che le compete.

Purtroppo, nella scuola, come nella leggenda di Parsifal e del Re pescatore detentore del segreto del Graal, tutto cade in rovina, tutto va in disfacimento; paralizzata da una malattia misteriosa la scuola è diventata un luogo carico di affermazioni prive di completamento, un lungo elenco di atti mancanti, una lunga scia di valorizzazioni incomplete, un lungo elenco di orizzonti mai totalmente aperti, ma sempre interclusi da ombre che la politica non riesce a rimuovere.

La paralisi e la morte della scuola non è che il risultato della nostra incapacità a trovare il reale per eccellenza, il centro e la fonte dei problemi. Pertanto, come nella leggenda, perché tutto si rigeneri basta porsi la questione centrale.

Per quanto l’istruzione, in questo complesso e controverso periodo storico caratterizzato da promesse negate, da ore consumate a discutere senza mai giungere ad una conclusione, dalla onnipotente voracità dei social, da messaggi estranei a qualsiasi progetto costruttivo di una umanità migliore, possa condizionare l’opzione di uno o di un altro futuro, la sua responsabilità è immensa.

Fernando Mazzeo