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Il futuro della scuola non è nel digitale e i docenti non sono sudditi, fedeli esecutori di editti ministeriali

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Sabato 25 giugno, a Venezia, dal convegno Ethics and Artificial Intelligence Confirmation, promosso dall’Aspen, il ministro Bianchi ci dedica ancora un pensiero affettuoso: “In Italia, in 4-5 anni, dobbiamo riaddestrare 650mila insegnanti per andare incontro ad un insegnamento adeguato al futuro digitale e all’inteconnessione globale che si è ormai prospettato”. 

Insomma, oltre a non rispondere chiaramente sull’inadeguatezza propria e del proprio staff (incontestabile, anche alla luce degli ultimi errori nei quiz del concorso e nelle prove dell’Esame di stato), il ministro la butta tutta sul digitale e usa un lessico adeguato per lo più al gergo militare e meno ad operatori e professionisti dell’educazione e dell’istruzione democratica. Parla dunque di “riaddestrare” gli insegnanti come se si trattasse di un corpo d’armata che deve rispondere ad una rigida gerarchia militare o paramilitare e rivelando così le vere intenzioni di quest’esecutivo sull’istruzione pubblica. 

È evidente che siamo completamente fuori dai dettami costituzionali. Il futuro della scuola non è nel digitale, ma in una sostanza che questi burocrati hanno completamente svuotato: l’istruzione non è merce di scambio e i docenti non sono sudditi, fedeli esecutori di editti ministeriali. Con tutti i bisogni che ha la nostra scuola, sentire che vengono stanziati 800 milioni di euro per una formazione docente indotta forzatamente dall’alto e che punta sull’intelligenza artificiale e sulla digitalizzazione, mi pare spaventoso. Dei modi, che vanno a violare Costituzione e Testo Unico Scuola (dlgs 297/1994 Art. 1), si è già detto ampiamente, ma vale la pena smontare anche l’idea imperante che per uno studente il digitale sia la chiave del successo scolastico.

Da una ricerca belga-finlandese pubblicata sulla rivista «Teaching and Teacher Education» si apprende che un utilizzo maggiore del digitale non porta un effettivo miglioramento rispetto al passato. I ricercatori hanno analizzato la letteratura scientifica sul tema e hanno concluso che, dal punto di vista cognitivo, i nativi digitali non possiedono competenze superiori ai loro predecessori, semmai limiti nell’esercizio del multitasking.

Svolgere più attività insieme, infatti, sovraccarica e affatica il cervello aumentando il rischio di errori e allungando i tempi di apprendimento. Gli strumenti digitali producono una sovrastimolazione che a lungo andare può disturbare e indebolire le capacità di concentrazione, l’attenzione e di conseguenza il processo di formazione. 

Un altro recente studio di un’università norvegese, la Stavanger University, ha dimostrato che l’assimilazione di un testo letto su supporto digitale sarebbe decisamente più bassa rispetto alla lettura su libri di carta. 

Potremmo, poi, ricordare gli innumerevoli danni creati dalla didattica a distanza in questi ultimi due anni, sia sul piano didattico che sotto il profilo emotivo e relazionale. In questi anni, ci abbiamo provato a far passare la scuola attraverso i pixel, con molta più competenza, certo, di quanta ce ne abbia messo il governo a riportarci in classe, ma abbiamo capito che la fisicità è un requisito essenziale per realizzare una scuola della conoscenza attraverso una relazione reale e non virtuale.
C’è da augurarsi che, in questo clima militaresco, non sia prevista la legge marziale per chi deciderà nel futuro prossimo di privilegiare ancora l’aula, i libri e le penne.

Giorgia Loi

Gruppo La nostra scuola 

Associazione Agorà 33