
Mentre sono in corso gli Esami di Stato, si riapre il dibattito sulla loro utilità, compresa l’ammissione o meno a sostenerli, che ormai appare una evidente forzatura perché questo criterio è previsto solo per gli studenti interni, mentre agli esterni nulla è richiesto, tranne i documenti di avvenuto abbandono della scuola prima del 15 marzo. Ma la vera domanda è: come si fa a non ammettere un candidato dopo cinque anni di scuola? Che strategia didattica ha adottato il Consiglio di classe, sia nell’arco del quinquennio e sia alle soglie del diploma, per evitare la bocciatura? Si è rivelato improvvisamente o è stato perennemente da bocciare quest’alunno?
Ma l’inadeguatezza di questo esame va oltre: che significato ha un “voto unico” sul diploma con cui si giudica sia l’intero quinquennio, sia le materie oggetto delle prove e sia le altre escluse dagli esami? Cosa racconta un voto unico, espresso in centesimi, delle reali competenze di un neo diplomato?
Fra l’altro, appare anche irragionevole bloccare al quinto anno un giovane, sia prima degli esami, non ammettendolo, sia dopo: non c’è stato, nei primi quattro anni, tutto il tempo e le occasioni per farlo?
Per questo ci riferiamo a un trascorso progetto che prevedeva un esame finale, non sulle sole materie scelte dal Ministero, ma su tutte quelle previste dal piano di studi e verificate da una commissione tutta esterna che a conclusione esprime un giudizio (o voto) dettagliato per singola disciplina.
Un’ottima preparazione in filosofia, per esempio, non può colmare deficit gravi in matematica o viceversa come avviene con l’attuale sistema dove un solo voto espresso oscura ignoranze non tollerabili anche in una altra sola materia e in modo particolare se quella è una materia di indirizzo.
Il diploma, con un giudizio su tutte le discipline del corso di studi, diventa un certificato rilasciato dalla scuola che così si assume l’obbligo di definire nel dettaglio i livelli di conoscenza, di competenza, di capacità e pure di comportamento del ragazzo a conclusione del ciclo di studi, mentre spetterà a lui scegliere cosa fare, se ripetere ancora il 5° anno, per migliorare quel certificato, o tentare l’avventura altrove, lavorando o all’università.
E non solo, ma ogni singolo docente, a conclusione degli esami, si deve assumere le specifiche personali responsabilità, con scienza e coscienza, senza mediazioni coi colleghi e senza i difensori interni che tentano sempre di parare i colpi per assegnare, come ancora avviene, un voto unico comunque compromissorio e comunque dubbio.
Fra l’altro, relativamente alle competenze certificabili e verificabili, fu proposto di adottare, anche per tutte le altre discipline, un metodo simile al “Quadro comune europeo di riferimento per le lingue straniere”, che fornisce una serie di descrizioni per aiutare il docente esaminatore a comprendere le competenze linguistiche. Un motivo in più perché la certificazione dei livelli del sapere e delle competenze passino anche su base europea, per cui sarà pure possibile per il neodiplomato cercare fortuna all’estero dal momento che si potrà leggere subito il suo grado di preparazione.