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In classe divisi per livello: bravi e asini

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“Vogliono dividere gli studenti in bravi e asini?”. Dopo le anticipazioni che abbiamo dato il mese scorso, torna in evidenza il problema dell’inclusione scolastica nel PTOF.

Infatti, leggendo la circolare dell’11 dicembre scorso in cui il ministero spiegava ai presidi che, nella stesura del nuovo Piano triennale dell’offerta formativa, potranno immaginare non solo di spezzare la rigidità dell’orario annuale di ciascuna disciplina articolandolo in moduli, ma anche di rompere il moloch della classe organizzando il lavoro per «gruppi di livello».

Il Corriere della Sera mette in risalto un rigo, che per lo più era sfuggito, inserito in una delle tante circolari in circolo per la scuola, sia per fare confusione e sia per confondere idee e certezze come questa che vedrebbe il dirigente decidere, per assecondare i ritmi di apprendimento dei ragazzi, di concentrare tutte le ore di una materia nel primo quadrimestre, usando il successivo per un’altra disciplina. Proposta che potrebbe andare se si fa riferimento alla “Full immersion” che tutte le scuole di specializzazione all’estero usano per gli stranieri che nell’arco di qualche mese intendono parlare sufficientemente la lingua del paese ospite.

Diverso invece il discorso il riferimento alle «didattiche cooperative basate sulla modalità peer-to-peer (da pari a pari)» ovvero al fatto che chi è più avanti aiuti chi è rimasto indietro. In questo caso si introduce esplicitamente la possibilità di lavorare appunto su gruppi di diverso livello.

E allora le lezioni sarebbero differenziate a seconda delle abilità dei bambini: chi ha il pallino della matematica sta nel «top set» e macina più tabelline, chi invece ha qualche inciampo finisce nel «bottom set».

Dice qualche esperto al Corriere: «A me  i gruppi di livello fanno tornare in mente le classi differenziali di infausta memoria. L’idea che i bravi devono stare con i bravi, gli scarsi con gli scarsi».

 

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Diverso però :”Lavorare per classi aperte anche per diverse fasce d’età è non solo utile ma necessario. Altro però è spaccare la classe a seconda dei livelli per potenziare i più bravi e recuperare i meno bravi. Cosa vuol dire più bravi e meno bravi? Nei 100 metri è più bravo chi è più veloce ma a scuola non si va solo per imparare, si va per socializzare il sapere. Un bimbo portato per la matematica che si mette a disposizione di chi ne sa meno di lui non solo aiuta l’amico, ma cresce lui. La scuola deve insegnare la democrazia. Il modello rampante inglese, che punta alla competitività, è contrario alla nostra Costituzione».

Per Giuseppe Bertagna, docente di pedagogia generale all’Università di Bergamo e già consulente del ministro dell’Istruzione Letizia Moratti e autore di una proposta che prevedeva la costituzione di gruppi di livello, le cose starebbe in altro modo: «Intanto nessuno è bravo in tutto. E poi il gruppo come lo vedo io si articola su più piani: c’è il gruppo di compito in cui si insegna a rifare il letto, quello per progetto, come l’allestimento di uno spettacolo, i gruppi elettivi – a me piace il calcio, a te il basket -, e infine il gruppo di livello che, contrariamente a quello che dicono i suoi detrattori, è uno strumento di integrazione perché serve agli insegnanti per tarare le lezioni non sulla base del programma ma dei bisogni del singolo, che dipendono appunto dal livello raggiunto». La suddivisione in gruppi per Bertagna, si legge sul Corriere, non esclude affatto la possibilità di socializzare il sapere: chi è più avanti deve aiutare chi è più indietro. Certo ci vuole molta sapienza da parte degli insegnanti, altrimenti si rischia di trasformare gli eccellenti in disadattati.»

E come si vede la palla torna sempre nei piedi dei docenti che devono essere sempre pronti a fare goal, evitando i corner perfino del disadattamento dei giovani, almeno di quelli particolarmente dotati.