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La riforma delle classi di concorso penalizza i licei coreutici

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La legge di riforma del sistema scolastico nazionale n. 107/2015, chiamata “La Buona Scuola” tocca da vicino anche i licei coreutici. E’ una legge che mina alla base l’istituzione scolastica poiché trascura la didattica e l’importanza di avvalersi di insegnanti preparati e qualificati, che il Ministro sostiene invece di voler reclutare.

Come noto infatti, da mesi è ormai in atto un gioco sadico e indisponente di presunte date e termini di pubblicazioni del bando di concorso a cattedra che poi vengono puntualmente smentite: bando che peraltro è già ben al di fuori dei termini previsti dalla stessa legge 107, che indicava al 1° dicembre 2015 il limite massimo della sua presentazione.

In particolare la riforma delle classi di concorso, propedeutica all’indizione di questo concorso nazionale, penalizza i licei coreutici e il loro corretto funzionamento sia nell’aspetto didattico che in quello culturale.

Secondo il principio della “revisione” e “razionalizzazione” messo in atto dal Ministero, la storia della danza, principale disciplina di indirizzo di ordine teorico-storico-umanistico di questo liceo – e a cui altri Paesi del mondo riconoscono una propria dignità scientifica di livello superiore – non ha una sua classe di concorso specifica ed è stata accorpata all’interno di quelle riservate ai docenti delle tecniche della danza (classica e contemporanea), che invece sono di ordine nettamente pratico e laboratoriale.

 

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Diverso trattamento è stato riservato alla storia della musica nei licei musicali, forte di una sua classe di concorso specifica, come se questa disciplina fosse ritenuta “superiore” nei confronti della storia della danza.

Inoltre è stata aperta la possibilità di insegnare sia le tecniche che il repertorio (“laboratorio coreografico”) anche ai diplomati del corso di composizione coreografica, il cui piano di studi non prevede alcuna delle discipline specifiche per le docenze nei licei e la cui impostazione verte prettamente sulla composizione contemporanea.

Come se non bastasse, ai pianisti accompagnatori sono state eliminate le ore di accompagnamento alle lezioni di tecnica della danza, limitandole ai soli laboratori coreutici e coreografici.

Le conseguenze di questi accorpamenti forzati sono facilmente prevedibili:

 

1) chi insegnerà storia della danza non avrà competenze specifiche, peraltro finora richieste per titolo di accesso e piani di studio di almeno 30 crediti formativi universitari sulla disciplina. Ora invece sembra che siano sufficienti 4 crediti formativi accademici o addirittura che non sia necessario alcun credito (il diploma in composizione non prevede la storia della danza nel piano di studi). Invece per un insegnamento adeguato di questa materia serve una formazione allargata a tutta una serie di discipline, che vanno dalla storia del teatro, alla letteratura, all’estetica, alla storia del costume, al drammaturgia, alla musicologia e a tante altre, tutte presenti solamente nei piani di studio delle lauree magistrali universitarie e del tutto assenti in quelli dei diplomi accademici Afam. Il Miur, che nel presentare il liceo coreutico ha sottolineato con forza la valenza culturale di questo percorso di studi, sta ora contraddicendo se stesso.

2) sarà possibile che il docente di repertorio classico non ne abbia la minima conoscenza: non basta infatti aver seguito qualche lezione di tecnica per acquisire una conoscenza approfondita in questo ambito.

3) le lezioni di tecnica classica e contemporanea saranno effettuate con il supporto di un cd, ossia in modo arrangiato e per nulla professionale.

 

I docenti e i pianisti dei licei coreutici sono quindi in mobilitazione a causa degli accorpamenti forzati delle classi di concorso. In particolare sono colpiti da questo provvedimento scellerato gli insegnanti di storia della danza e i pianisti, che vedono letteralmente cancellato o dimezzato il loro posto di lavoro dopo anni di studio, di docenza a scuola e di sacrifici.

Dopo anni di sfruttamento e con contratti a termine al 30 giugno anziché al termine dell’anno scolastico, come sarebbe legalmente previsto (per citare solo alcune delle pratiche quantomeno singolari riservate a questi precari della scuola) risulta inaccettabile un simile atteggiamento da parte del legislatore.

Risulta dunque chiaro che questa riforma non crea nuovi posti di lavoro, semmai crea nuovi disoccupati e nuovi insoddisfatti per arrivare solo ad una “mala scuola”. La sola e unica verità è che l’accorpamento delle classi di concorso e di posti di insegnamento fa acqua da tutte le parti e a farne le spese, come sempre, sono i lavoratori, gli studenti e le loro famiglie.