Home I lettori ci scrivono La scuola che vorrei e che difficilmente vedrò

La scuola che vorrei e che difficilmente vedrò

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Pagare poco gli insegnanti è un perfetto modo per depotenziare il valore della scuola. Imporre ai giovani docenti anni ed anni di precariato è un’altra maniera per arrivare allo stesso risultato: creando scuole di serie B, prive di continuità didattica, in genere all’interno delle strutture edilizie di più bassa qualità.

L’insegnamento è un mestiere difficile, per chi lo fa bene: le ore di lavoro sono ben più di quelle scritte sui contratti. Ogni insegnante sa (anche se non tutti si regolano di conseguenza) che le ore di effettivo lavoro per programmare, preparare bene ogni lezione, valutare, coordinarsi con i colleghi sono un multiplo dell’orario “ufficiale”.

Eppure siamo in un tempo in cui la funzione della scuola appare agli occhi di tutti importantissima, per dare ai ragazzi gli strumenti per affrontare un mondo sempre più complesso. Strumenti banali, come le tabelline, ma necessari; strumenti più complessi, come le strategie per la gestione di gruppi di alunni.

Su tutto, una buona educazione informatica, per saper utilizzare al meglio gli strumenti complessi che i ragazzi sanno usare, ma per mille motivi diversi dalla scuola. Ed una più che buona, ed aggiornata continuamente, educazione ambientale, perchè in quel campo si situano molte delle domande che i bambini della scuola d’infanzia e gli adolescenti delle superiori rivolgono, seppure con gradi diversi di approfondimento, alla scuola: domande alle quali ogni educatore dev’essere in grado di rispondere o almeno provare a rispondere. Senza dimenticare competenze forti di psicologia (infantile, dell’età evolutiva, dei giovani adulti): il deserto relazionare della pandemia ha mostrato quanto questo aspetto sia stato e sia ancora assai importante. E la relazione con i genitori? Anche lì sappiamo tutti quanto c’è da fare.

E la politica internazionale, la storia del ‘900, tutto ciò che dà strumenti per capire le vicende, in gran parte sanguinose, dentro le quali si formano i nuovi ragazzi e i nuovi adulti. Sessualità, droghe e dipendenze, e magari anche geografia, inglese, educazione fisica (quanto è importante il corpo, specie quello in crescita!, e la lettura che ognuno dà del proprio), musica e danza, educazione alimentare, lingue (che uniscono!). Non serve tutto da ognuno, si lavora anche in team, si scambiano esperienze, conoscenze, pareri. Scuole belle, ariose, con isole pedonali intorno, alberate, pulite, lontane dal traffico.

Soldi ai docenti (ed anche ai presidi, agli Ata, a chi fa funzionare la scuola)? Certo, anche soldi perché si deve anche vivere. Comprare libri, andare ai convegni, viaggiare, andare al teatro e al cinema. Certezza del posto di lavoro, per poter costruire progetti almeno pluriennali. Di fronte alla non certezza del posto di lavoro che è una delle molle che spingono la gente (insegnanti inclusi) a non fare bambini, e contribuire così a quella desertificazione delle città e al bambino che – mancando, fratelli, cugini, amici sulle proprie scale – vive la condizione del principino che ha sempre ragione e che quindi non si confronta mai con le sue debolezze.

Distruggiamo il mondo, ci dicono Greta, il Papa e gli scienziati del cambiamento climatico (con le due declinazioni, dell’inquinamento e delle guerre). Per non arrivare a questo ci vuole una fortissima battaglia politica, con generazioni giovani capaci di sostenerla. Forza!

Lorenzo Picunio

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