Home I lettori ci scrivono La scuola italiana e la “cura” Calamandrei

La scuola italiana e la “cura” Calamandrei

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Quando, giovane docente inorridito dalle scelte dell’incompetente ministro della Pubblica Istruzione di turno, mi capitava di parlare dei problemi della Scuola con la mia tata, Vincenza, la sua risposta in lingua sarda era sempre la stessa: “Chie cumandat faghet lege! (Chi comanda fa le leggi!)”. Sono trascorsi quattro decenni, ma la prassi non è cambiata.

Proviamo a sviluppare un ragionamento di verità, supportato da numeri incontrovertibili, e ipotizziamo linee progettuali comprensibili per tutte le tate d’Italia.

In principio fu il bagno di sangue. Dal 2001, con la distruzione del Tempo prolungato in nome delle tre “i” e del “Portfolio” della Moratti; nel post-cacciavite di Fioroni, con le amputazioni senza anestesia inflitte alla Scuola Pubblica della Repubblica Italiana dalla “Nuova Inquisizione” di Berlusconi, Bossi e Fini. Correva l’anno scolastico 2009-2010: sparirono classi, scuole, cattedre, docenti e  Ata; a decine di migliaia. L’ex ministro Gelmini, che ancora oggi osa parlare di Scuola, per giustificare l’ingiustificabile arrivò a dichiarare che i bidelli erano troppi perché più numerosi dei Carabinieri. “Chie cumandat faghet lege!”. In compenso arrivarono le classi-pollaio, brodo di coltura di bullismo e dispersione, gli ingovernabili mega-istituti con mille e oltre studentesse e studenti, le regioni depauperate dalla scomparsa di intere sezioni staccate. Monti, il salvatore della Patria, si guardò bene dal curare le ferite della Scuola Pubblica.

Chi predilige la dimensione privatistica dell’istruzione, raramente condivide il valore costituzionale dell’Istruzione di qualità per tutti, considerato che il genio non discende dall’albero genealogico o dall’ammontare del conto in banca. L’aspirante astuto Renzi, si è sforzato di distrarre l’Europa facendo “ammuina” sul problema del precariato, col risultato di circa 90.000 nuovi docenti assunti, di cui quasi 50.000 inseriti nella Serie “B” scolastica definita “Potenziamento”, a fronte di oltre 180.000 precari “titolari” del diritto alla stabilizzazione sancito dalla Corte di Giustizia Europea. “Chie cumandat faghet lege!”. Le Idi di marzo del 2018 hanno ridimensionato il renzismo.

Poi è arrivato lui, il “Covid-19”, capace di seminare morte in tante città italiane e di far chiudere le attività didattiche, il 5 marzo 2020, nelle scuole di ogni ordine e grado. Ha preso forma un “Anno Zero”, subito azzannato dai nemici della Scuola firmatari di proclami pro “eternalizzazione” della taumaturgica “Didattica a Distanza”. Oggi le linee progettuali per un possibile “Piano Calamandrei” per la rinascita della Scuola Pubblica, sono in mano al ministro Lucia Azzolina, la stessa prima firmataria dell’unica proposta di legge sensata degli ultimi vent’anni: la cancellazione delle classi-pollaio. La Scuola credeva o, quantomeno, sperava in questa norma urgentissima, messa nero su bianco il 5 luglio 2018 (n. 887 – Camera dei Deputati).

Ma, poco dopo, sono iniziati i distinguo, il laico mantra del “Non possumus”, mentre le amputazioni di classi e docenti continuavano. “Chie cumandat faghet lege!”. Ritrovarsi assisa sullo scranno più alto del Ministero di Viale Trastevere, non alla destra del padre ma, più tecnicamente, alla destra del dottor Marco Bruschi (detto Max) di gelminiana osservanza, ha causato al Ministro una specie di amnesia legislativa.

Eppure esiste una soluzione concreta per tutti i problemi della Scuola: nuovi Organici di Diritto con classi anti Covid-19 da 15/18 alunni (in base ai metri quadri delle aule), immissione in ruolo per titoli e servizio dei docenti specializzati sul Sostegno e dei precari abilitati, abilitazione e ruolo per gli altri, nuove norme su funzione docente e Ata, comportamento-profitto alunni. Aveva ragione tata Vincenza: “Chie cumandat faghet lege”!

Antonio Deiara