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Le cattedre dovrebbe privilegiare gli interessi educativi o quelli di bottega?

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L’assegnazione delle cattedre dovrebbe privilegiare gli interessi educativi o quelli di bottega?

Sull’assegnazione dei docenti alle classi, la formulazione dell’art. 5 del D.Lgs. 165/2001, così come novellato dal D.Lgs. 150/2009, sembrava non lasciare spazio a dubbi interpretativi, attribuendo in via esclusiva al dirigente scolastico tale compito “con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro”. L’unico vincolo era rappresentato dalla “sola informazione ai sindacati”, integrata, a seguito della riforma Madia, con la frase: “ovvero le ulteriori forme di partecipazione” (Confronto sindacale, n.d.r.).Nel 2020, tuttavia, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 11548 ha rimesso tutto in discussione, confermando la validità dell’impianto normativo contenuto nel Testo Unico sulla scuola del 1994. Secondo la Suprema Corte, infatti, gli articoli 4 e 25, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 (relativi, rispettivamente, alla funzione di indirizzo e alla gestione unitaria della scuola nel rispetto degli organi collegiali) ribadivano la validità del D.Lgs. 297/1994[1]. Di conseguenza, la Cassazione, pur attribuendo al dirigente scolastico la responsabilità di assegnare le cattedre, ha sottolineato che quest’ultimo fosse tenuto a seguire i criteri stabiliti dal consiglio d’istituto e le indicazioni del collegio dei docenti. L’ordinanza della Suprema Corte, quasi esclusivamente basata su questioni procedurali, a mio giudizio, non considera altre importanti norme, più strettamente legate all’aspetto didattico-pedagogico, che richiamerò più avanti. Tale decisione, tuttavia, ripropone l’annoso tema della riforma degli organi collegiali, che appare urgente e necessaria.
Oggi, stante le conclusioni a cui è giunta la Cassazione nell’ordinanza sopra richiamata, il dirigente scolastico dovrebbe assegnare i docenti alle classi in conformità con i criteri definiti dal consiglio d’istituto e le proposte avanzate dal collegio dei docenti, potendosi discostare solo in casi particolari e con adeguata motivazione.
In questo articolo, tuttavia, intendo rispondere a due importanti interrogativi: i criteri stabiliti dal consiglio d’istituto per l’assegnazione delle cattedre possono essere definiti liberamente, oppure esistono vincoli giuridici e didattico-pedagogici a cui bisogna attenersi? E, nel caso in cui esistano, il consiglio potrebbe legittimare scelte non coerenti con tali vincoli?
La risposta a queste domande va ricercata in un intricato contesto in cui si intrecciano disposizioni normative ed esigenze di natura didattico-pedagogica.
L’idea che da qualche decennio sta prevalendo è quella di pianificare un sistema educativo in grado di dare risposte efficaci alle pressanti esigenze di una società “liquida”, caratterizzata da instabilità, mutevolezza e fluidità in ogni tipo di relazione umana. Il mondo dell’istruzione, infatti, non poteva continuare a rispondere a problemi complessi con soluzioni obsolete e semplicistiche. Il suo assetto didattico-organizzativo, pertanto, doveva essere rivisitato e adeguato ai tempi.
La direzione verso cui la scuola, italiana ed europea, si è mossa negli ultimi anni è quella del superamento del sapere proposto per compartimenti stagno a favore della trasversalità, con l’ambizioso (e spesso criticato) obiettivo di puntare allo sviluppo delle competenze.
A seguito di questo lento ma costante cambiamento, le discipline scompariranno per essere sostituite dalle aree disciplinari. In tale direzione si sono mosse le Raccomandazioni europee del 2006 e 2018 sulle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente, gli assi culturali introdotti con il D.M. 139/2007, l’ampliamento delle classi di concorso del 2016 e, soprattutto, la riforma dell’istruzione professionale del 2017[2], che ha previsto il raggruppamento delle singole materie in aree disciplinari. A ciò si aggiunga che il Regolamento attuativo dell’autonomia scolastica, risalente al lontano 1997, prevedeva tra le possibili forme di flessibilità didattica “l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari[3]”.
Esistono, pertanto, orientamenti educativi e norme giuridiche che indicano chiaramente la via da percorrere, che può essere sintetizzata nella interconnessione dei saperi e, quindi, in un approccio integrato all’apprendimento. Tale strategia è essenziale per rispondere in modo più completo e flessibile alle sfide della società contemporanea.

Alla luce degli orientamenti descritti, il dirigente scolastico deve fare in modo che l’assegnazione delle cattedre favorisca:

  1. la trasversalità disciplinare, attribuendo al medesimo docente, nel caso in cui sia in possesso dei titoli richiesti, l’insegnamento di più discipline nello stesso gruppo classe (ad esempio: filosofia e scienze umane; lettere, storia e latino; educazione civica, diritto ed economia politica; ecc.);
  2. la continuità nei diversi anni scolastici;
  3. la continuità all’interno dello stesso corso o sezione, al fine di agevolare “l’attivazione di percorsi didattici individualizzati”[4], “l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso”[5] e “la continuità nell’orientamento scolastico e professionale”[6].

Sulla base delle considerazioni sin qui esposte, si potrebbe concludere che, nell’assegnazione delle classi ai docenti, i criteri sopra evidenziati dovrebbero occupare, senza dubbio, i primissimi posti di un ipotetico ordine di priorità. Gli aspetti di minore rilevanza, invece, dovrebbero essere collocati in fondo alla lista. In questo scenario, i margini di operatività per il consiglio d’istituto, il collegio dei docenti e, di riflesso, per il dirigente scolastico, sarebbero estremamente ridotti.

Ciò nonostante, con sempre maggiore frequenza, nelle scuole si registrano logiche che vanno nella direzione opposta a quella indicata chiaramente dalla normativa. In alcuni casi, tali logiche sembrano essere legate a “esigenze personali” o intenti punitivi, piuttosto che a obiettivi educativi di lungo termine. Queste incongruenze possono compromettere la creazione di un ambiente scolastico sereno e, di conseguenza, l’efficacia dell’azione didattica, che non sarà in grado di rispondere adeguatamente alle difficili sfide educative dei nostri tempi.

  1. Art. 7, comma 2, lettera ‘b’; art. 10, comma 4.
  2. Art. 1, comma 3, D.Lgs. 61/2017.
  3. Art. 4, comma 2, lettera ‘e’.
  4. Art. 4, comma 2, lettera ‘c’, D.P.R. 275/99.
  5. Art. 4, comma 2, lettera ‘d’, D.P.R. 275/99.
  6. Art. 4, comma 4, D.P.R. 275/99.

Giuseppe Iaconis