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“Non abbiamo bisogno di annunciare gli avvenimenti di questi ultimi tempi” (Pio XI, 1931)

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Chi è laico e/o ateo convinto ha ragione di dire che c’è un “bombardamento” mediatico sull’avvenimento storico in programma domenica 27 c. m.
Chi è cattolico, più o meno praticante, è lieto di sapere che, in questa importante domenica “in albis” nell’ottava della Pasqua 2014, vengono elevati agli onori degli altari un vecchio papa, che era stato eletto per “transizione”, (1958-63) ed uno “venuto da molto lontano” che durò un lungo periodo (1978-2005).
I protestanti, pur con rispetto, ritengono che si tratti di un evento che non appartiene a tutta la cristianità, dato che sono molto critici sul culto dei santi, a volte eccesivo tra i cattolici.
Il vecchio cronista prende atto che già da tempo la vox populi (che poi è vox Dei) ha ritenuto santi sia il papa “Buono” da sempre, sia Giovanni Paolo II già al momento della sua morte. Papa Francesco ha deciso che la liturgia solenne della canonizzazione fosse nello stesso giorno per loro due che hanno segnato la seconda metà del secolo XIX. Del primo il suo segretario Loris Capovilla dice: “Giovanni XXIII era due occhi e un sorriso: l’innocenza e la bontà. Di Karol J. Wojtyla il portavoce Navarro Valls evidenza “il senso della preghiera e il contatto con Dio, il sorriso e la sofferenza”.
Negli anni 60, l’Italia stava vivendo il suo boom economico, ma il papa che aveva scelto di chiamarsi Giovanni (Dio è misericordia) visitò ammalati e carcerati, dialogò con tutti gli uomini di buona volontà e non solo coi cattolici, scrisse con la mente e il cuore due encicliche rivoluzionarie: la “Mater et magistra” (sull’essenza della Chiesa nel mondo), e la “Pacem in terris” (contro ogni rischio di possibili conflitti anche atomici. Fu testimone dell’Amore cristiano e della Pace e volle dopo secoli un nuovo concilio dottrinale: il Vaticano II.
Nel 1978 gli astrologi dissero che la presenza di 13 lune piene nel calendario non deponeva bene. Per l’Italia era l’anno delle BR e della fine di Aldo Moro e delle sua scorta. Certo è che quell’anno ci furono 3 papi: Paolo VI morto in agosto, papa Luciani che durò 33 giorni e Giovanni Paolo II, eletto il 16 ottobre. Un umile servo dei servi di Dio, che invitò tutti – soprattutto i giovani – ad aprire le porte a Cristo. E già nel marzo 1979 inviò la prima delle sue 14 encicliche: la “Redemptor Hominis”, vero trattato di Cristologia e suo programma pontificale.
Domenica 27 Aprile Francesco I, “venuto dall’altro mondo”, che dal marzo 2013 è il 266° papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma, eleverà agli onori dell’altare due campioni e testimoni della fede. Proprio lui che nei suoi gesti e nel suo magistero si ispira alla loro azione riformatrice e di apostolato per tutte le periferie geografiche ed esistenziali. In Piazza ci sarà anche Benedetto XVI, che già nel 1968 aveva scritto: “La grande figura di papa Giovanni rappresenta per molti versi un enigma. Con la sua idea dell’aggiornamento ha creato un nuovo modello conciliare e ha dato una svolta fino ad allora impensabile alla storia della Chiesa del XX secolo”.
Proprio 2 giorni dopo la morte del papa polacco, nella cattedrale di Buenos Aires, Bergoglio disse: “Giovanni Paolo II è stato semplicemente coerente, non ha mai ingannato, non ha mai mentito, non ha mai svicolato. Giovanni Paolo ha comunicato con il suo popolo, con la coerenza di un uomo di Dio, con la coerenza di chi tutte le mattine trascorreva lunghe ore in adorazione, e poiché adorava si lasciava armonizzare dalla forza di Dio. La coerenza non si compra, la coerenza non si studia in nessuna facoltà. La coerenza si forgia nel cuore con l’adorazione, con l’unzione al servizio degli altri e con una retta condotta. (…) Questo XXI secolo non ha bisogno di maestri, ma di testimoni, e il coerente è un testimone”.