Home Attualità Parrucconi. È l’università che è cambiata

Parrucconi. È l’università che è cambiata

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“Di nuovo parrucconi che si strappano i capelli, barbogi che pontificano. Forse occorrerebbe che qualcuno spiegasse ai seicento in convulsione da matita rossa e blu, che l’Università da parecchio è diventata un’istituzione di massa e che oggi gli strumenti di cultura sono assai diversificati e non sono più racchiusi solo nelle biblioteche e nelle librerie.

Quando le anime belle del tempo che fu smetteranno di piangere e sbraitare sull’incapacità dei giovani, sui loro sbagli?”.

Il Fatto Quotidiano riporta la riflessione, scritta sul suo sul blog, di  Paolo Mottana, professore ordinario di pedagogia alla Bicocca di Milano, attraverso cui si scaglia contro i 600 docenti estensori dell’accusa rivolta agli studenti attraverso Il Gruppo di Firenze, che non sanno più né leggere né scrivere.

Il professore della Bicocca accusa i seicento di “moralismo angusto e cieco”, di “avere nostalgia del passato” e di essere noiosi.

 “La mia non è un’invettiva – spiega – La questione non esiste se è considerata solo dal punto di vista della scrittura e della grammatica. C’è un problema molto più grande che riguarda la cultura contemporanea. Questa storia degli errori da terza elementare è vecchia come il mondo. Alcuni studenti hanno dei problemi di scrittura ma è sempre stato così. Allo stesso tempo devo dire che ho molti ragazzi che scrivono in maniera originale rispetto all’insegnamento scolastico perché hanno molte altre fonti e molti altri stimoli per leggere e scrivere. I seicento parrucconi hanno scoperto l’acqua calda. Ne fanno una questione perché sentono in qualche modo sfidata l’autorità accademica per il fatto che entrano tanti studenti non all’altezza delle loro aspettative. È un problema di disadattamento dei professori”.

 

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“Una volta- scrive Mottana- c’era l’idea dell’università come un posto iper-selettivo ma oggi non è più cosi. Ora abbiamo un’università di massa, sempre più alla ricerca di studenti. Fanno affluire un’enorme massa di studenti e poi non ci si può aspettare che siano pronti per un tipo di cultura che è quella di 30-40 anni fa quando gli atenei erano meno frequentati. Si continua a dare la colpa ai giovani che non sono in grado di accedere alle richieste di un sistema universitario che continua a restare immobile su alcuni livelli, come quello dei linguaggi che variano su un’infinità di rotte”.

 “Capisco che essi comunicano attraverso linguaggi differenti, anche scritti, la cui grammatica e semantica è talvolta differente da quello del toscano cruscante, ma non meno ricca. La verità è che non gli stiamo dietro”.

 “La mia sensazione è che sanno maneggiare più linguaggi. Quando si cimentano con un linguaggio più accademico li sento molto più falsi. Seguo molte tesi di laurea e vedo che escono testi dove gli errori di terza elementare sono un caso su cento. L’ assenza dell’ “h” davanti all’ “ai” che immagino faccia inorridire i nostri parrucconi è un fenomeno eccezionale”.

 “Non c’è dubbio che la qualità della nostra formazione in generale non sia di altissimo livello ma lo imputo alle manchevolezze molto più vaste che vi sono da sempre nel nostro sistema scolastico. Se si vuole innalzare la qualità della didattica con l’interesse verso la curiosità, la cultura, allora c’è un problema che non si risolve con quattro verifiche in più o con il dettato. Anzi ripristinare questo tipo di strumenti non serve a nulla. Dobbiamo rovesciare il paradigma per cui gli studenti devono fare solo quello che è loro richiesto; dobbiamo trovare strade per fare una didattica appassionante, coinvolgente che metta in gioco la loro spinta ad imparare”.

 “Credo che siano irrecuperabili nella maggior parte dei casi ma se hanno ancora un po’ di sensibilità residua consiglio loro di scendere dai tronetti dove si sono issati e di mettersi in gioco nella realtà dei linguaggi di oggi a contatto di questi giovani che sono tutt’altro che stupidi. Smettano di avere nostalgia per un sistema che era castigante e punitivo e che non ha certo prodotto quella acculturazione di massa che era nelle loro prerogative. La popolazione che è uscita dall’alfabetizzazione degli anni Sessanta è quella che ha prodotto i vent’anni di governo berlusconiano”.