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Privacy, il datore di lavoro non può controllare le mail senza una motivazione

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Il controllo indiscriminato di posta elettronica e navigazione del dipendente non è legittimo. Lo ha deciso il Garante con provvedimento [doc. web n. 5408460], con il quale ha vietato a un’università il monitoraggio massivo delle attività in Internet dei propri dipendenti.

Il tutto è partito da una denuncia del personale tecnico-amministrativo e docente, per via della violazione della propria privacy attraverso il controllo a distanza posto in essere dall’Ateneo.

Con l’istruttoria del garante è emerso che i dati raccolti erano chiaramente riconducibili ai singoli utenti, anche grazie al tracciamento puntuale degli indirizzi Ip (indirizzo Internet) e dei Mac Address (identificativo hardware) dei pc assegnati ai dipendenti.

Inoltre, attraverso un sistema di software, l’Ateneo esercitava una verifica costante e indiscriminata degli accessi degli utenti alla rete e all’e-mail. Tali software, secondo il Garante, non potevano essere considerati “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”; infatti, non erano necessari per lo svolgimento della predetta attività ed operavano, peraltro, in background, con modalità non percepibili dall’utente. Violando, evidentemente, lo Statuto dei lavoratori che, in caso di controllo a distanza, prevede l’adozione di specifiche garanzie per il lavoratore.

Nel suo provvedimento, il Garante ha inoltre sottolineato che l’Università avrebbe dovuto privilegiare misure graduali che rendessero assolutamente residuali i controlli più invasivi, legittimati solo in caso di individuazione di specifiche anomalie, come ad esempio la rilevata presenza di virus. In ogni caso, si sarebbero dovute prima adottare misure meno limitative per i diritti dei lavoratori.

Per concludere, l’Autorità ha anche rilevato la mancanza di un’idonea informativa sulla privacy.

Per il Garante è quindi illecito il trattamento dei dati personali così raccolti e ne ha vietato l’ulteriore uso, imponendo comunque la loro conservazione per consentirne l’eventuale acquisizione da parte della magistratura.