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Programmi di italiano uguali per tutti, licei e professionali, o differenziati? Meglio uguali

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Sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, il prof Ricucci non ha difficoltà a sostenere che i programmi di italiano dovrebbero essere differenziati tra professionali e licei. Sintetizzando dice: “Mentre nei licei si può mantenere il vecchio impianto storicistico, purché molto snellito, nelle altre scuole superiori sarebbe meglio concentrarsi su una scelta di testi del Novecento che i ragazzi possano sentire più vicini, oppure passi di autori antichi, parafrasati in un italiano corrente e pienamente accessibile.”

Che potrebbe essere una riflessione condivisibile, visto per esempio la quantità di ore che nei professionali sono dedicate alle materie di indirizzo; e chi ha insegnato in questi Istituti sa bene le difficoltà che si incontrano con le materie umanistiche, sentite estranee talvolta rispetto al progetto culturale scelto da questi ragazzi che, è il caso di ricordarlo, in grande maggioranza provengono da “classi sociali” disagiate, dalle periferie cittadine, dalle campagne. 

Ma non solo. Per lo più sono questi alunni che nella secondaria di primo grado non hanno dato buoni risultati e dunque “consigliati” a non iscriversi, per carità, nei Licei, troppo impegnativi.

Non diciamo nulla di nuovo, ma è questo un motivo valido per tagliare anche parte delle conoscenze ai giovani meno fortunati?

Appare infatti evidente a questo punto che a questi ragazzi, con la proposta lanciata da Ricucci, oltra alla condanna di essere avviati al più presto al lavoro, verrebbe pure precluso tutto quel grandioso spazio letterario, culturale e artistico che va dal Due-Trecento all’Ottocento, con particolare riferimento alla vasta area di raffinata creatività che il mondo ci invidia, per cui siamo in gran parte noti, e grazie alla quale l’industria del turismo è sempre attiva, vale a dire il Rinascimento, con i suoi fantastici risvolti . 

In altre parole, puntando sul Novecento, e dunque su una letteratura più vicina alla sensibilità moderna, questi giovani, giusto il ragionamento del prof sul Corriere, perderebbero pezzi salienti della nostra civiltà, arte, cultura, conoscenza, ingegno, storia. Una “cancellazione” che non darebbe loro nemmeno più senso nè piacere, né gusto ad assistere una commedia di Goldoni, a una citazione di Dante, a un film sul medioevo, a un riferimento pittorico rinascimentale né tanto meno a intraprendere un viaggio a Siracusa per gli spettacoli classici e così via. 

Il nodo, crediamo, e il motivo dello studio della intera storia della letteratura italiana, dalle origini ai nostri giorni, sebbene molto ridotto nei professionali, rispetto ai licei, sia da ricercarsi invece nella risposta che uno dei più illustri intellettuali italiani diede a un docente che gli chiedeva appunto: che fare per i giovani? Tutti i giovani, dei licei e dei professionali?  “I classici, collega! I classici!” E nei classici, l’interlocutore del docente voleva dire, si trovano  le espressioni più nobili dell’uomo, come la musica, la poesia, la filosofia, l’arte, la scienza. 

Perché proprio  da quelle parti sta l’identità nazionale  e la conoscenza del pensiero di chi ha tracciato la “commozione” dell’uomo, ne ha sedotto le suggestioni, gli ha indicato le tracce di una creazione ben più ampia. 

Diceva Piero Citati, il quale passò i primi anni della sua folgorante carriera come docente proprio in un professionale, che per moltissimi alunni la scuola rappresenta l’unica occasione e l’unica opportunità che hanno, non tanto per conoscere lo scibile umano o il pensiero kantiano, ma per sentire parlare almeno di Dante, di Petrarca, di Boccaccio, di Leonardo e ma anche di Goethe o di Shakespeare o Cervantes. E aggiungeva qualcosa in più: quale esperienza notevole sarebbe, anche in una scuola professionale, dedicare alcune ore settimanali all’ascolto di Mozart o Wagner o Verdi? Quale ulteriore apertura mentale avrebbero gli alunni se venissero introdotti alla scoperta della drammaturgia scespiriana o a quella di Lope de Vega o di Bert Brecht? 

Una riflessione, forse, occorre farla anche per non privare tanti giovani dell’unica possibilità che hanno, studiando la storia della letteratura italiana, per godersi con più passione e intelligenza una lettura ma anche un film o un’opera lirica.