Home Politica scolastica Roberto Maragliano fa i conti con 40 anni di storia della scuola

Roberto Maragliano fa i conti con 40 anni di storia della scuola

CONDIVIDI

Il nome di Roberto Maragliano è certamente noto alla stragrande maggioranza dei docenti italiani, poichè fin dagli anni ’70 si è dedicato allo studio del nostro sistema scolastico occupandosi di valutazione, tecnologie e tanti altri temi.
Nei giorni scorsi ha concluso la sua carriera accademica in qualità di docente presso l’università La Sapienza di Roma.
Abbiamo colto l’occasione per porgli qualche domanda.

Professore, ci siamo!  Da pochi giorni lei è in pensione, ma in rete lei ha già fatto sapere che in qualche modo continuerà ad essere attivo con il suo “Scaffale Maragliano”. Di che si tratta?


Si tratta di una cartella di Google Drive aperta a tutti: per entrarci basta avere l’indirizzo, che è questo: https://goo.gl/XbT62M
Cosa c’è in Scaffale Maragliano? Una selezione di mie pubblicazioni in forma di libro o articolo, scritti che vanno dal 1973 ai primi del 2000 (più qualche altra cosa più recente) che è difficile se non impossibile trovare oggi, e che lì sono riprodotti in formato pdf. Ognuno dallo Scaffale Maragliano può prelevare il testo o i testi per cui ha più interesse; può anche scaricare l’intera cartella, sapendo però che andrà ad occupare 1,8 MB di memoria.

Nel concreto di quali argomenti si parla?


Di un po’ di tutti gli argomenti di cui mi sono occupato con una qualche regolarità e continuità per più di quarant’anni: dalle riflessioni epistemologiche sui contenuti e le modalità dell’insegnare e sulle caratteristiche dell’apprendere dentro e fuori scuola ai contributi volti a introdurre elementi di progettualità razionale negli interventi didattici, dall’attenzione per le prospettive del leggere e dello scrivere ai tentativi di innestare elementi di concettualizzazione sul confronto relativo all’impiego educativo delle tecnologie, di tutte, quelle di tradizione e quelle di nuovo conio, per non dire poi dello spazio dedicato alla presa in carico del rapporto di reciproca influenza tra regimi demografici e impegni di formazione.
Ma, su tutte, la questione aperta del rapporto più conflittuale che armonico, ahimè, tra scuola e società. Insomma, di tutto un po’: con elementi di coerenza, ma anche di oscillazione e revisione, come è naturale, direi quasi necessario che sia, se uno trova più gusto nel porre e porsi continuamente domande che nel cercare risposte che siano dotate di validità assoluta. Navigando dentro i testi si potranno vedere le ripercussioni sul piano personale di alcune delle tante vicende che hanno interessato l’area educativa nel nostro paese e che in non pochi casi restano ancora aperte

Lo Scaffale Maragliano rappresenta dunque una bella opportunità per conoscere meglio la storia della nostra scuola. Ma a che serve conoscere la nostra storia se poi ce la dimentichiamo e andiamo avanti in tutt’altro modo?


Cerchiamo di essere un po’ ottimisti, almeno in questo. Confrontarsi con il passato può servire, non fosse altro per attrezzarsi a non ripetere gli stessi errori. Il problema è che ciò che rimproveriamo ai nostri studenti, cioè di non avere memoria storica, dovremmo onestamente rimproverare a noi stessi. Come si è arrivati a perdere il contatto con la nostra stessa storia di educatori, insegnanti, gente di scuola? Le ragioni sono molte e attengono alle carenze della politica certo, ma anche dell’accademia e più in generale dell’intellettualità diffusa (giornalisti, testimonial, opinion leader). La sostanza di tutto questo coincide con quell’immobilismo concettuale che ci/li fa vedere nella scuola un assoluto, un qualcosa che non può e non deve cambiare o che deve mutare incessantemente ma solo in superficie, per potersi ergere a contraltare ad un mondo in perenne trasformazione.

Ma perchè in questo Paese è così difficile fare una seria riforma della scuola?


Dobbiamo riconoscere che almeno per un bel tratto di tempo anche da noi si è puntato (ed elaborato in rapporto) ad un’idea ‘forte’ di riforma della scuola, ma che poi per ragioni non soltanto esterne questo obiettivo è andato perdendo di visibilità e di concretezza. La mia idea è che sarebbe troppo doloroso confrontarsi con le ragioni di questo fallimento, e allora si preferisce rimuovere tutto, i propri sogni, le proprie delusioni, e assieme noi stessi e la nostra stessa sotira. Conseguenza di tutto ciò è che molto più di ieri la scuola è intesa come un assoluto: non si discute delle ragioni di fondo della sua crisi, che stanno in quegli elementi di identità (in merito al che cosa e come insegnare) che il mondo circostante, così cambiato rispetto al passato, sta minando. La vecchia talpa della società educante (o, se volete, diseducante, comunque attiva e inarrestabile nel dare forma e concretezza alle esperienze collettive di apprendimento) sta minando l’edificio sempre più inattuale della scuola. Ci sembrava assurdo che qualcuno, allora, parlasse di descolarizzare la società. Meno assurdo è riconoscere oggi che è la scuola stessa che si sta descolarizzando, in primo luogo nell’animo dei suoi utenti diretti e indiretti. 

Molti di noi ricordano ancora il “documento dei saggi” che è forse l’ultimo documento pedagogico e culturale posto alla base di una riforma ordina mentale, peraltro poi fallita. Siamo troppo ingenerosi se diciamo i documenti post-97 sono stati decisamente di più modesta portata?


Nello Scaffale Maragliano ho voluto mettere gli atti pressoché completi  di quella iniziativa ministeriale.
Leggendoli o riandando a quei testi ognuno potrà vedere che la questione in gioco era l’esigenza di proiettarsi nel futuro e impegnarsi a traghettare lì dei contenuti irrinunciabili. Ma quali contenuti? Si trattava appunto di identificarli, in una prospettiva per così dire ‘disinteressata’. Non fummo capaci di far comprendere che il problema, allora drammatico, e ora tragico era ed è di un distacco fortissimo tra scuola e società, né trovammo le forze per reagire alla controffensiva di associazioni professionali dei docenti, sindacati, accademia, editoria che vedevano messi in discussione i loro interessi: tutti soggetti, per intenderci, orientati allora e oggi ancor più di allora a mantenere immobili e immutabili le scelte di fondo sul che e il come della scuola e quindi ad accettare supinamente lo spirito conservativo dell’istanza di sempre più compiuta e asfissiante (e deresponsabilizzante) burocratizzazione di atti e intenzioni perseguita dall’amministrazione centrale della scuola e dalle sue dirette emanazioni (con azioni che mai hanno trovato contrasto nelle scelte dei tanti ministri che da allora si sono succeduti a Viale Trastevere).

Quelli erano anche gli anni in cui si iniziava a parlare della generalizzazione delle tecnologie informatiche nella scuola di base. Cosa è cambiato davvero in 20 anni?


Poco, pochissimo, salvo il rumore che se ne fa attorno, non fosse altro per far posto a nuovi soggetti a tavola (o per impedire che questo avvenga). Al di fuori di metafora, la tecnologia informatica è o meglio potrebbe essere eversiva dello status quo di cui ho detto: eversiva degli assetti culturali e didattici che sappiamo. Ma andrebbe interiorizzata dalla scuola tutta, a cominciare dalla componente ‘personale’ di ogni singolo docente. E’ questo un problema ‘civico’ che ho più volte sollevato e su cui il nostro paese s’è rilevato agnostico e impreparato: altrove si è investito fin dall’inizio puntando sulla dimensione personale, direi esistenziale del docente, offrendogli strumentazioni e connessioni a prezzi molto vantaggiosi per un uso domestico, sì che potesse fare esperienza diretta delle potenzialità del digitale e della rete. Da noi invece le azioni che si sono messe in campo miravano a trasferire in questo ambito un’anomala e astratta idea di alfabetizzazione, quasi che l’uso delle macchine potesse essere solo una questione tecnica di laboratorio o di aula e non una questione di vita della scuola; e questo tipo di intervento trovava sostegno e legittimazione in una rappresentazione collettiva della tecnologia informatica (promossa da giornali, radio, tv, ma anche dall’editoria libraria) interessata ad anteporre il tema del pericolo rispetto a quello dell’opportunità, se non addirittura disposta ad accettare che il pericolo oscurasse e annullasse l’opportunità. Significativa a questo proposito è la politica attuata dell’editoria scolastica (vedi quanto si è detto ad un recente convegno).
Comunque, malgrado tutto, e lo ripeto, almeno per quanto potrà/dovrà avvenire nel medio periodo non posso non essere ottimista