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Scuole paritarie e libertà di scelta educativa

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Il sistema scolastico italiano (8.826.893 studenti) comprende anche le scuole “non statali”, cioè non gestite dallo Stato, ma dallo Stato controllate e riconosciute come luoghi pubblici di istruzione, in base alla legge 62/2000. I requisiti per il riconoscimento sono:

 

– Un Progetto Educativo e un Piano dell’Offerta Formativa

– La presenza di un gestore e di bilanci in regola e pubblici

– Locali e attrezzature didattiche a norma

– Organi Collegiali

– Iscrizione aperta a tutti gli studenti, anche con handicap

– Corsi completi, iniziati con la classe 1ª

– Docenti abilitati

– Contratti di lavoro nazionali

 

Quando ci sono queste condizioni, le scuole sono pienamente definibili “pubbliche”, in quanto forniscono il servizio fondamentale dell’istruzione, aperto a tutti, come viene inteso nell’art.30 della Costituzione. Secondo l’art. 26 comma 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, i genitori “hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli”, diritto tra l’altro ribadito successivamente dall’UNESCO nel 1966 e da una risoluzione della Comunità Europea nel 1984.

Sappiamo tuttavia come, per poter affermare che un diritto è garantito, non basta sia formalmente permesso, ma bisogna che si venga anche messi nelle condizioni di esercitarlo.

Lo Stato non può riconoscere un diritto e non porre in essere le misure necessarie affinché tale diritto sia esercitato. Per le famiglie, il principale vincolo resta quello economico: non tutti coloro che optano per iscrivere il proprio figlio a una scuola pubblica paritaria possono permettersi di sostenere finanziariamente la scelta fatta, perché lo Stato:

 

a) non prevede che pochissimi finanziamenti per questo tipo di istituti,

b) non mette a disposizione le risorse necessarie per le famiglie, se non in misura infinitesimale rispetto al necessario; più attenta al problema è la regione Lombardia, con una dote scuola che in alcuni casi può coprire un terzo della spesa necessaria.

 

Nel complesso, nell’anno scolastico 2015/16, sono stati stanziati 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola statale e 499 milioni per quella paritaria.Pertanto, senza contare i finanziamenti delle amministrazioni locali:

 

– ogni studente delle statali riceve 6.403,528 €;

– ogni studente delle scuole paritarie riceve invece 532,06 €.

 

Non c’è confronto. E non è quanto accade in altri Paesi, neanche in quelli che sono conosciuti per essere decisamente più laici e secolarizzati dell’Italia, come la Francia o la Repubblica Ceca.

Le conseguenze si vedono nella proporzione di studenti iscritti in scuole non statali. Nel complesso in Italia gli iscritti alle scuole paritarie sono diminuiti negli anni, scendendo al 10,64% del totale nel 2015/16: un calo lento, ma inesorabile, inversamente proporzionale alla qualità e all’eccellenza di queste scuole.

C’è però un dato che testimonia la fiducia riposta da molte famiglie nella qualità e nei Progetti di Offerta Formativa delle paritarie, ovvero il trend del numero di studenti con bisogni particolari (stranieri e disabili).

Se qualcuno probabilmente sarà soddisfatto dal calo degli iscritti alle scuole paritarie, oggettivamente, da un punto di vista strettamente laico e scientifico, oltre che giuridico, ci si domanda quanto bene faccia questa situazione al sistema scolastico italiano. Giova all’Italia la mancanza di libertà di scelta educativa, con uno Stato gestore e controllore della scuola?

A giudicare dagli esiti dei test PISA, non proprio. L’Italia è agli ultimi posti nella gran parte dei punteggi dell’edizione 2015 di questi test: nelle abilità scientifiche si colloca ben sotto la media OCSE e non va meglio con le abilità nella lettura. Ci si salva, per fortuna, nella matematica, in cui però siamo comunque in posizione peggiore della gran parte dei Paesi europei.

E’ evidente che il sistema, così fatto, è destinato ad implodere, nonostante l’aiuto di 6 miliardi di euro annui che le Famiglie delle scuole pubbliche paritarie regalano annualmente allo Stato, a cui pressoché nulla costano i loro figli. Venendo meno questo “sussidio al contrario”, con l’eclissi delle pubbliche paritarie, lo Stato si troverebbe a peggiorare grandemente la propria situazione finanziaria. Sarebbe una catastrofe.

Eppure esiste la possibilità di sostenere economicamente l’educazione di tutti i ragazzi, allo stesso tempo facendo risparmiare risorse allo Stato: basterebbe definire un effettivo costo standard sostenibile, come quello che si può ricavare da esempi virtuosi e dalla ricostruzione dei costi reali di ogni passaggio del processo educativo.

Con il costo standard, la spesa per ciascun alunno di ogni scuola (statale e non statale) sarebbe di 5.441 €, per un esborso totale di 47,1 miliardi. Ovvero 2,8 miliardi in meno di oggi all’anno. Questo immaginando che non vi sia alcuna forma di compartecipazione, neanche da parte delle famiglie più abbienti. È chiaro che, se fosse prevista, perlomeno per i più ricchi, la spesa totale dello Stato diminuirebbe ulteriormente.

D’altra parte, nel settore Sanità – che funziona secondo questo principio – i meno abbienti non pagano il ticket e chi può, paga in proporzione al reddito. E nessuno obietta, soprattutto dove la Sanità funziona (vedi, ad esempio, la regione Lombardia).

 

Video “ La scuola e i costi standard” (clicca qui)

 

È dunque possibile allo stesso tempo rendere più efficiente e sostenibile il sistema educativo italiano e soddisfare i diritti fondamentali di apprendere senza alcuna discriminazione e di scegliere la scuola in cui essere educati. Si tratta di assicurare autonomia e libera concorrenza sotto lo sguardo garante e non gestore dello Stato, rivedere le linee di finanziamento, dare alle famiglie la possibilità anche economica di iscrivere i propri figli nella scuola che reputano migliore, aumentare controlli e valutazioni, insomma, avere il coraggio della libertà, coscienti che questo cambio di paradigma non comporterebbe costi aggiuntivi per lo Stato. Anzi.

Eppure sono decenni che in Italia si discute di parità, ma ben poco si è mosso: resistono vecchie contrapposizioni, rendite di posizione, interessi politici e sindacali.

La contrapposizione ideologica non è più forte come un tempo. Ma ancora latita la volontà politica di risolvere un problema che non ha colore politico, poiché è trasversale rispetto al vero bene del Paese. La Buona Scuola, decollata positivamente e con molte aspettative, si è di fatto, ad oggi, pericolosamente avvitata su se stessa, diventando una sanatoria per i precari e producendo cattedre vuote o in sovrannumero a seconda dei casi.

Stiamo assistendo alla chiamata degli ultimi 50 mila aspiranti nelle liste d’attesa, con conseguenze non indifferenti su tutto il sistema scolastico: cattedre svuotate delle scuole pubbliche paritarie, i soliti certificati medici per svariate malattie proporzionalmente acutizzate dalla lontananza da casa, vari distacchi concessi a chi trova le vie giuste. E comunque nelle sale professori delle scuole si parla soprattutto di soldi.

Lo studente, dove si posiziona? Sicuramente non al centro. Forse nel 2018, quando questo delirio sarà concluso, con il decreto sul nuovo reclutamento dei docenti avremo dei concorsi degni di essere chiamati tali.

La scuola non può essere un ammortizzatore sociale: il danno ricade sulla cultura, sulla società, sull’economia. Il costo e l’inefficienza del sistema scolastico italiano sono sotto gli occhi dell’Europa.

Le associazioni della Scuola hanno dimostrato notevole compattezza e determinazione nel sostenere il tema “Autonomia e libertà” di scelta educativa della Famiglia che domanda un pluralismo educativo senza oneri per lo Stato, cioè senza spreco di risorse, ma con investimenti a favore della qualità dell’insegnamento e della formazione dei docenti.

La riflessione prima, e poi la scelta, prevede o l’attivazione del costo standard di sostenibilità o il collasso del sistema nella forma presente. Tertium non datur.