
Ritorna l’appuntamento settimanale con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo delle conseguenze negative dei social, maggiori per le ragazze rispetto ai ragazzi.
Un importante report britannico del 2017 mostra come i teenager hanno valutato gli effetti dei social sul loro benessere mentale: Instagram è risultata l’app che hanno valutato peggio, seguita da Snapchat. YouTube è stata invece l’unica app che hanno “assolto”.
Sono le ragazze a passare più tempo sui social e a subire le peggiori conseguenze dalla loro frequenza e interazione su queste app, in particolare le più piccole (11-13 anni) o le ragazze più grandi che già presentano una certa fragilità psicologica. Come mai? Jonathan Haidt e colleghi hanno individuato alcune cause di questo dato statistico, confermato ormai da decine di studi realizzati con i più vari metodi di ricerca (di tipo correlazionale, longitudinale, sperimentale).
Innanzitutto, le ragazze sono maggiormente influenzate dal confronto sociale, soprattutto sul piano fisico. In età puberale il corpo cambia in fretta e questo già può essere destabilizzante. A ciò si aggiunge l’arduo confronto con le immagini postate dai pari, non raramente ritoccate in senso migliorativo. Inoltre, la pubertà è anche la fase in cui si vivono i primi veri interessi sentimentali e la questione di come si appare ai componenti dell’altro sesso non è più tanto marginale.
Un altro motivo è che le ragazze subiscono attacchi più violenti sui social, molto spesso condotti da altre ragazze. Bullismo elettronico che per le ragazze è incentrato soprattutto su un punto: colpire la persona nella sua posizione sociale all’interno di un gruppo, in particolare a livello reputazionale. Modalità che vanno dalla subdola condanna all’invisibilità (nessun like postato a loro favore, nessuna risposta alle loro osservazioni, ecc.), alla denigrazione diretta, dalla diffusione di immagini negative fino al vero e proprio isolamento “social”.
Haidt cita, a questo proposito, l’emblematico caso della chat messa su da una studentessa che meriterebbe il podio in un eventuale campionato di perfidia; una chat eloquente già dal titolo: “Tutti i membri della classe tranne Mary”.
Le ragazze sono inoltre più soggette al contagio emotivo. Esprimono maggiormente, rispetto ai ragazzi, le loro emozioni sui social e questo determina una sorta di effetto di propagazione dell’umore, studiato più volte. L’umore dei nostri amici, infatti, condiziona anche noi, anche se non ce ne accorgiamo più di tanto. A ciò si aggiunga che l’estremizzazione dei post in senso emotivamente negativo (lì dove si rivelano problemi di ansia, depressione, senso di isolamento, disforia, ecc.) promette più like e visualizzazioni e molte ragazze scelgono così la strada del post estremizzato, piuttosto che quella della comunicazione più delicata del proprio stato d’animo. Estremizzazione espressiva che incrementa il fenomeno del contagio umorale negativo nei gruppi.
Infine, le ragazze sono più soggette alle molestie. Si sa che ragazze e ragazzi accettano facilmente, nei social, anche l’amicizia di persone che non conoscono realmente. Talvolta, le molestie vengono però dagli stessi amici o dai compagni di classe. Si verificano sempre più casi di richieste di foto compromettenti alle ragazze da parte dei loro compagni. La ragazza che si rifiuta di accettare questa richiesta (che in certi gruppi assume quasi la valenza di un rito di iniziazione o perfino di una “sfida”) viene tacciata di essere una “bambina” dai componenti del gruppo, una ingenua incapace di affrontare la vita e quindi non degna di starci, in quel gruppo. Diverse ragazze cedono a questo ricatto sociale (del resto, ormai lo fanno tutte!) e inviano delle foto che devono peraltro passare la severa valutazione dei loro compagni (il livello di nudità esibita sarà “sufficiente” o no?).
Con queste foto in mano da parte dei compagni (e delle compagne), la ricattabilità delle ragazze però aumenta. Se non accondiscenderanno a certe pretese sessuali dei compagni, potranno venire minacciate di vedersi pubblicare quelle stesse foto sui social. Inoltre, alcune di queste immagini si diffondono perché vengono vendute dai compagni agli studenti più grandi, in cambio di soldi o di alcolici.
Dagli studi emerge anche una buona notizia: che la qualità delle relazioni reali (offline) e contesti di vita sani (da quello familiare a quello ambientale e scolastico) costituiscono un fattore protettivo e di contenimento di queste dinamiche. All’opposto, il principale fattore di rischio risulta essere lo svantaggio psicologico e socioeconomico.
E i genitori? Quasi sempre inconsapevoli di queste dinamiche e di queste complesse traiettorie di vita dei loro figli. Placidamente convinti che i pericoli siano soprattutto “lì fuori” (macchine, rapitori, malintenzionati). Quando invece, ormai, il grosso dei giochi si fa soprattutto a casa, in una rassicurante stanzetta di adolescente. All’interno di un piccolo schermo.
#StatusOfMind. Social media and young people’s mental health and wellbeing, report pubblicato nel maggio del 2017 dalla “Royal Society for Public Health”, in collaborazione con “Young Health Movement”
(https://www.rsph.org.uk/static/uploaded/d125b27c-0b62-41c5-a2c0155a8887cd01.pdf)
A. Orben, A. Przybylski, S.J. Blakemore, R. Kievit, Windows of developmental sensitivity to social media, in “Nature Communications”, March 2022 (https://www.researchgate.net/publication/359509628_Windows_of_developmental_sensitivity_to_social_media)
E. Bozzola, G. Spina, R. Agostiniani, S. Barni, R. Russo, E. Scarpato, A. Di Mauro, A. Vita Di Stefano, C. Caruso, G. Corsello, A. Staiano, The Use of Social Media in Children and Adolescents: Scoping Review on the Potential Risks, in “International Journal Environmental Research and Public Health”, August 2022
(The Use of Social Media in Children and Adolescents: Scoping Review on the Potential Risks)
Millennium Cohort Study (MCS). The Millennium Cohort Study (MCS) is a UK longitudinal birth study. It is following the lives of around 19,000 young people born across England, Scotland, Wales and Northern Ireland in 2000-02 (https://cls.ucl.ac.uk/cls-studies/millennium-cohort-study/)