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Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella su Instagram? Il confronto sociale e “social” causa disagio nei giovani?

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Altro appuntamento settimanale con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di autopercezione del proprio aspetto nei giovani dell’epoca dei social.

La narrazione di sé stessi, fondamentale per la costruzione identitaria di un adolescente, avviene oggi in buona parte attraverso i canali social ed è sempre più legata, da quando è stata introdotta la fotocamera digitale negli smartphone (2009-2010), alle foto che si postano di sé stessi.

Qui entra chiaramente in gioco la normale distanza, sul piano estetico, fra la propria autopercezione ideale e il proprio Sé reale. Problema sempre esistito, ma che adesso trova un palcoscenico indefinito (la piattaforma), che lo amplifica a dismisura. Si pone quindi il problema di come gli altri (e quanti altri!) giudicheranno l’immagine postata: si apparirà abbastanza belli, magri, attraenti, visivamente simpatici?

A questo scopo, le piattaforme non si sono fatte superare in generosità ed hanno prontamente munito l’insicuro utente (e fra i più insicuri troviamo inevitabilmente proprio le persone in età evolutiva) della salvifica possibilità di intervenire con filtri bellezza e app di fotoritocco sulla propria immagine. Ed ecco che la distanza fra il Sé reale e quello ideale può, come d’incanto, accorciarsi.

Le indesiderate conseguenze di questa corsa al fake visivo sono diverse. In primo luogo, l’adolescente sconta sulla propria pelle questa disonestà di autorappresentazione. Essa costituisce infatti una ammissione di inadeguatezza e ciò può avere conseguenze sull’autostima generale del minore. Di più, rappresenta la sconsolante abdicazione al proprio sacrosanto diritto ad essere se stessi ed il totale cedimento ad una sorta di silenziosa dittatura sociale, con i suoi perversi canoni e aspettative.

All’interno dell’ecosistema social, va così tristemente in scena una sorta di brulicante commercio di “falsi Sé”, che cominciano magari dalla dimensione fisica e si estendono poi alla costruzione di una immagine che appaia vitale e felice quanto serve per non risultare perdente nel confronto con gli altri e per incamerare i like sperati. Qualunque sia il costo psicologico che comporterà, alla lunga, questo intenzionale e sistematico gioco delle parti, che è innanzitutto oblio e tradimento di sé stessi.

C’è però un altro aspetto da considerare: per non sfigurare, anche nel caso in cui lei o lui (ma il problema riguarda in modo assolutamente preponderante le ragazze) ritenesse poco umanamente dignitoso andarsi a mettere in questi traffici, l’adolescente si trova comunque spiazzato dalla concorrenza sleale attuata da tanti suoi coetanei. Il confronto sociale risulta così inevitabilmente impari.

Non è un caso che diversi studi scientifici evidenziano quanto grande sia la percentuale di teenagers (46%) che affermano di sentirsi peggio, rispetto alla propria immagine corporea, a causa dei social media (a fronte di un 14% che afferma invece di sentirsi meglio e a un 40% che non nota conseguenze di rilievo). Questi studi indicano proprio nel meccanismo del confronto sociale l’elemento scatenante di fenomeni come il disagio nella propria autopercezione corporea, una bassa autostima, sintomi depressivi e disturbi del comportamento alimentare.

Ma c’è dell’altro: tante ragazze diventano vittime di una forma di dismorfismo corporeo (un disturbo appartenente allo spettro ossessivo-compulsivo), cominciano cioè, col tempo, a non accettare più il loro volto reale, anche per qualche minima imperfezione, e ad identificarsi in quello che si sono costruite con i filtri. Il caso parossistico è quello del fenomeno noto come Snapchat dysmorphia (termine coniato da Tijion Esho, celebre volto della televisione britannica e fondatore di diverse cliniche di medicina estetica), quando cioè il disturbo da dismorfismo corporeo conduce alcune ragazze a ricorrere a tutto, persino alla chirurgia estetica, pur di apparire realmente (si fa per dire) come la propria immagine fake costruita inizialmente con i filtri. Il dramma diventa pertanto questo: prima il reale diventa un fake (filtri e ritocchi fotografici alla propria immagine effettiva) e poi il fake pretende di diventare reale (chirurgia estetica).

Tante storie, tutt’altro che a lieto fine, nascono così, non come nella nota fiaba, a partire dallo scomodo verdetto di uno specchio nei confronti della matrigna di Biancaneve, ma dal verdetto della fotocamera di un cellulare di proprietà: solo che il problema, stavolta, riguarda direttamente Biancaneve.

Immagine presente nel sito “theguardian.com”, che riproduce l’autrice dell’articolo, Helle Hunt,  in tre foto diverse, con progressivo uso di filtri e ritocco
(https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2019/jan/23/faking-it-how-selfie-dysmorphia-is-driving-people-to-seek-surgery)

Il presente articolo fa parte della rubrica Scienze per la Scuola, curata da Giovanni Morello. Vedi anche gli altri articoli pubblicati quest’anno:

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