
Ritorna l’appuntamento settimanale con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di disturbi mentali nei più piccoli.
I dati statistici riportano un misterioso, fortissimo e inquietante picco di disturbi mentali nelle nuove generazioni a partire dagli anni Dieci del Duemila. Come si spiega? Cos’è successo ai nostri bambini e ragazzi perché si scatenasse questa sorta di epidemia di disagio mentale? Una guerra? Il terrorismo? La crisi economica?
Jonathan Haidt, nel suo saggio La generazione ansiosa (2024), non ha dubbi. La risposta sta qui: in quegli anni (soprattutto a partire dal 2007) sono stati messi in commercio i primi smartphone con collegamento internet ad alta velocità e arricchiti di centinaia di app, fra le quali fanno la parte del leone le piattaforme dei social media.
Egli presenta i dati in cui si esprime questa epidemia di disturbi mentali a carico della cosiddetta Generazione Z (i nati alla fine degli anni Novanta).
I dati ci dicono che, a partire dal 2010:
- I teenager statunitensi che hanno dichiarato di aver avuto almeno un caso di depressione maggiore nell’ultimo anno, sono aumentati del 145% fra le femmine e del 161% fra i maschi;
- Sono aumentati gli studenti universitari americani che hanno sviluppato malattie mentali, con l’aumento dell’ansia del 134%, della depressione (del 106%), dell’ADHD (72%), del disturbo bipolare (57%), dell’anoressia (100%), dell’abuso e dipendenza da stupefacenti (33%), della schizofrenia (67%);
- Si è determinato (sempre negli USA) un aumento dei ricoveri di adolescenti in pronto soccorso, per atti non fatali di autolesionismo e per tentativi di suicidio, del 48% nei maschi e del 188% nelle femmine;
- Sono aumentati i suicidi, sempre fra gli adolescenti americani, del 91% fra i maschi e del 167% fra le femmine (trend di aumento confermato negli altri Paesi del mondo anglosassone e nei Paesi nordici, anche se con incrementi più bassi).
Ma in che modo l’uso indiscriminato di social, attraverso l’efficienza, portabilità e pervasività degli smartphone, può aver determinato questa epidemia di salute mentale nella nostre giovani generazioni? Haidt ritiene che questi dispositivi abbiano causato quattro tipi determinanti di danno per i nostri minori, soprattutto se utilizzati ad una età troppo precoce e in modalità di iperconnessione.
Il primo è la deprivazione sociale: l’uso massivo del virtuale riduce enormemente il tempo trascorso in attività nella vita reale e con gli amici; contatto umano che non è in alcun modo sostituibile o compensabile con le reti virtuali.
Il secondo è la frammentazione dell’attenzione: i social media e le varie app sono progettati per catturare costantemente l’attenzione degli utenti, con notifiche continue, sovraccarico informativo, tecniche di clickbait; questo determina, oltre ad una riduzione delle prestazioni cognitive (ad esempio nello studio), l’aumento di stati d’animo come irritabilità e ansia.
Il terzo danno è la perdita di sonno: le caratteristiche degli schermi e della loro luminosità, il loro uso anche a tarda sera (e, potremmo aggiungere, la sovrastimolazione mentale determinata dall’interazione attraverso social e videogiochi), impatta sulla quantità (e qualità) di sonno di cui hanno bisogno soprattutto gli adolescenti. Tale drastica riduzione delle ore di sonno determina infatti conseguenze come riduzione dell’attenzione e della memoria, difficoltà nell’apprendimento, diminuzione delle capacità decisionali e di controllo degli impulsi, aumento di ansia e irritabilità.
Il quarto danno è la dipendenza: social e nuovi dispositivi digitali sono costruiti per creare dipendenza negli utenti, attraverso meccanismi che agiscono sul sistema neurale di ricompensa dell’individuo, per cui, ad esempio, ogni like o condivisione ricevuta costituisce un rinforzo al proprio comportamento e una conferma del proprio prestigio sociale all’interno della comunità virtuale, determinando un rilascio di dopamina (il cosiddetto ormone del piacere) e quindi un ulteriore incremento motivazionale a reiterare il comportamento.
Per arginare questo fenomeno epidemico dilagante, Haidt avanza alcune proposte perentorie:
1) niente smartphone prima delle scuole superiori (solo telefoni di base, con app limitate e senza possibilità di navigazione su internet);
2) niente social prima dei sedici anni;
3) a scuola senza cellulare;
4) più gioco libero, cioè non supervisionato dagli adulti, e da praticare nel mondo fisico piuttosto che nella dimensione del virtuale.
Su questa linea, in diversi Paesi nel mondo è stato introdotto il divieto dei cellulari nelle scuole, soprattutto nel primo ciclo. Ma è evidente che occorrerà ben altro nel prossimo futuro.



