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Stipendi fermi, Bussetti sa che il Def non porterà soldi e preferisce parlare di concorsi

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Come ci si aspettava, l’incontro tenuto al Miur l’8 aprile tra il ministro dell’Istruzione e i sindacati non ha portato ad alcun risultato. Il problema è che le due parti, una in rappresentanza del Governo, l’altra dei lavoratori, sembrano parlare due “lingue” sempre più diverse.

Marco Bussetti annuncia concorsi ordinari

Da una parte, c’è Marco Bussetti e la sua gestione di stampo leghista, che per risolvere il problema del precariato non vuole sentire parlare di procedure di stabilizzazione straordinarie, mette le mani avanti soffermandosi sui mutamenti demografici al ribasso, quasi ad evidenziare che già è molto se non si ridurranno gli organici. Ed annuncia di aver firmato gli atti preparatori per il bando del nuovo concorso ordinario per la primaria e dell’infanzia, per un totale di 16.959 posti.

Il Ministro ha anche detto di aver chiesto al Mef l’autorizzazione a bandire un nuovo concorso per la scuola secondaria, per un totale di 48.536 posti, di cui 8.491 sul sostegno.

Nuovo contratto: la svolta non arriva

Per quel che riguarda il rinnovo contrattuale, il ministro si è limitato a dire che c’è molta attenzione per l’argomento. Peccato che nel Def, tra poche ore al vaglio del Consiglio dei ministri, preludio indispensabile per sostenere finanziariamente i progetti della Legge di Bilancio, non sembra proprio che vi siano gli attesi soldi per i dipendenti pubblici. E la “scuola” è presente solo per finanziamenti dovuti e minimali.

Chi si aspettava una svolta è rimasto deluso: salvo improbabili colpi di scena dell’ultimo momento, anche col Governo M5S-Lega continuano a mancare, in linea con i passati, i miliardi necessari ad avvicinare almeno un po’ gli stipendi di docenti e Ata a quelli di chi lavora nella scuola oggi nell’Unione Europea.

La risposta del ministro

“C’è la volontà di procedere con il nuovo contratto di comparto”, si è limitato a dire Bussetti, dopo che nei giorni passati aveva invece auspicato incrementi sostanziosi.

Poi ha aggiunto: “Così come vogliamo aprire una nuova stagione concorsuale che possa portare energie nuove nella scuola italiana, con un piano pluriennale di assunzioni che consenta a chi vuole intraprendere la carriera di docente di andare in cattedra e ai precari di essere finalmente assunti”.

Il Ministro ha assicurato che particolare attenzione sarà data anche al personale Ata, oltre che a ridare energie e risorse agli uffici centrali e periferici del Miur.

L’on. Luigi Gallo (M5S) torna a chiedere

La mancanza di fondi per la scuola è tutta nelle parole dell’on. Luigi Gallo (M5S), che per il terzo giorno consecutivo è tornato a ribadire lo stesso concetto, cosciente del fatto che i disegni di legge (come quelli sull’incremento del tempo pieno) vanno finanziati: “Senza uno sforzo comune per rilanciare la cultura nel nostro paese non sarà possibile realizzare l’agognato cambiamento, a partire dal Def previsto nell’ormai prossima legge di Bilancio, bisognerà prevedere tre miliardi di euro sulla conoscenza e rafforzare le misure già in atto”.

Le lamentele dei sindacati

Solo che i sindacati si aspettavano ben altro. E, subito dopo il termine dell’incontro tenuto al Miur, hanno confermato lo sciopero del 17 maggio.

Rino Di Meglio, leader della Gilda degli insegnanti, ha per esempio chiesto al ministro “atti concreti per superare il gap tra gli stipendi del personale della scuola e quelli del resto del pubblico impiego e procedure semplificate per stabilizzare i precari.

Anche le parole di Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola, sono cariche di delusione: “Il ministro ha preso atto e condiviso le nostre richieste ma la discussione, che ha toccato molti temi, di fatto non ha prodotto nulla stasera. Aspettiamo domani per capire se ci sono novità dal Consiglio dei ministri. Poca la chiarezza del ministero sui precari, specialmente quelli con 36 mesi; nessun accenno alla mobilità professionale Ata. Sulla regionalizzazione differenziata – ha concluso Gissi – abbiamo confermato il nostro diniego”.

Insomma, le due parti – pubblica e dei lavoratori – parlano sempre più due lingue diverse.