Home Politica scolastica Una (contro)riforma che non fa primavera

Una (contro)riforma che non fa primavera

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Dei proclami renziani tardo estivi è rimasto poco. Lo stesso Renzi nel parlar di scuola in conferenza stampa ha mostrato scarso entusiasmo, preferendo virare il dibattito sulla riforma della televisione.

Per altro il passaggio parlamentare del disegno di legge sulla scuola potrà annacquare e rivedere il testo, a partire dalle assunzioni, e modificare quanto immaginato, in più le risse interne ai partiti non inducono a ben sperare.

È evidente che l’effetto-annuncio, per quanto si vada facendo obsolescente, resta la strategia dietro cui si vuole nascondere l’impalpabile leggerezza di questa ennesima (contro)riforma tesa a tagliare, non aumentare investimenti e personale. Lo scaglionamento delle assunzioni, pur in presenza di un loro sensibile aumento, necessario per sanare un assurdo europeo che vede l’Italia unica nella reiterazione cronica delle supplenze annuali, sono il segno evidente che il governo resta nel solco degli esecutivi precedenti.

Preoccupa la questione del merito e dei riconoscimenti economici. È evidente che tutto il lavoro di funzionamento oggi retribuito col fondo d’istituto dovrà finire nel “merito renziano”, che però prevede dieci euro al mese, ovvero 130 l’anno, per l’assolvimento degli incarichi. Più uno scherzo di cattivo gusto che una innovazione, visto che la retribuzione sarebbe un decimo dell’attuale. Anche sul fronte degli scatti per anzianità si rischia il disastro. Bloccati dal 2009 gli scatti sessennali (il primo al terzo anno, gli ultimi due dopo sette) che garantivano ogni mese un centinaio medio netto di euro d’aumento, la loro reintroduzione non è precisata nelle forme.

Azzardiamo l’ipotesi che in uno slancio mediatico il presidente del consiglio reintroduca gli scatti biennali aboliti venti anni fa. Ma di quanto? Perché se il merito è previsto a dieci euro, lo scatto sarà probabilmente di cinque euro mensili, invece di cento, i lavoratori si ritroveranno così 60 euro annui in più nello stipendio e non 1300. Meno di una elemosina, una tragica farsa, per stipendi miserevolmente non europei.

È evidente che questa (contro)riforma non fa primavera. Peggiorata dal rito stanco e triste delle Rsu che senza un livello nazionale di elezione su liste nazionali, si è ridotta, ancora una volta, a conferma perennemente cristallizzata del quintetto rappresentativo, che i voti li prende anche perché i lavoratori delle singole scuole necessitano di qualcuno che li rappresenti nelle sempre più asfittiche contrattazioni interne. Così la confusione senza fine tra livello della contrattazione interna ed espressione tramite questa, del tutto impropriamente, della rappresentatività nazionale, favoriscono l’immobilismo castale della rappresentatività dei lavoratori della scuola.

Gli studenti sono scesi il 12 marzo nelle piazze di tutt’Italia rivendicando il loro protagonismo. Chiedono una scuola capace di futuro, partecipata, consapevole, volta a costruire i saperi e non meramente a trasmetterli.

Noi come Sisa raccogliamo il loro grido e ci auguriamo che i lavoratori della scuola, docenti e Ata, sappiano raccogliere questo appello. Perché solo con la mobilitazione e la capacità di porre al centro del dibattito pubblico la scuola, i saperi e la loro importanza, non certo con la giurisprudenza e i ricorsi, cambieremo questa (contro)riforma. Occorre manifestare idee e proposte con la forza di una voce capace di vincere il vento contrario. Il SISA auspica una mobilitazione generale ed è come sempre pronto ad agire unitariamente con tutte e tutti coloro che credono in una scuola inclusiva ed aperta.