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Uno studente: “I docenti pensano che un alunno ascolti solo se prende appunti. Lascio la scuola, è priva di logica”

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Il problema dell’abbandono scolastico è all’ordine del giorno. Sono molti i ragazzi che, per le ragioni più disparate, smettono di studiare ancora prima di ottenere il diploma di maturità. Tra questi un 17enne che, dopo aver deciso di abbandonare la scuola, ha espresso le sue motivazioni in una lunga lettera a dirigente e insegnanti. Dalle parole del ragazzo il celebre docente e scrittore Alessandro D’Avenia ha tratto lo spunto per una riflessione più ampia andando a toccare anche il tema del merito.

La lettera dello studente è stata riportata da D’Avenia su Il Corriere della Sera. “Gentile Preside e Professori, con la presente desidero condividere il motivo del mio abbandono del liceo e del sistema scolastico tradizionale, con la speranza di lasciare uno spunto di riflessione per migliorare, nei limiti del possibile, le modalità di insegnamento e i requisiti della scuola. Imparare mi ha appassionato fin dai primi anni delle elementari, studiavo volentieri e in fretta”, ha esordito il ragazzo.

Lasciare la scuola a causa del metodo di insegnamento

Quest’ultimo, a quanto pare, non si è trovato a suo agio in classe, con dei metodi di insegnamento evidentemente non adatti alle sue esigenze: “Quest’anno, però, mi sono sempre più allontanato dall’apprendimento scolastico, anche delle materie che più mi interessano. Trovo che la scuola mi imponga uno studio eccessivamente nozionistico, spesso privo di logica. Questo durante ore in cui il disagio fisico e psicologico di stare in classe si sommava alla noia derivata da lezioni quasi esclusivamente frontali. Mi trovavo a dover recepire un gran numero di informazioni passivamente, spesso con imposizioni contrarie al mio metodo di memorizzazione e ascolto”.

Ed ecco una critica direttamente ai docenti: “Molti insegnanti pensano che un alunno ascolti seriamente solo se è seduto a prendere appunti. Ognuno però possiede metodi diversi che andrebbero valorizzati per permettere un apprendimento migliore. Ho quindi iniziato a vedere nella scuola non un luogo dove viene diffusa la conoscenza e l’obiettivo è la crescita della persona per prepararla al futuro, ma un luogo in cui quello che conta sono le ore, in cui non si considerano le peculiarità ma si mira a uniformare verso la mediocrità”. Insomma, per il 17enne la scuola dovrebbe essere ben altro rispetto a ciò di cui ha fatto esperienza.

“Così è maturata in me la decisione di abbandonare la scuola tradizionale, ma non lo studio, che mi appassiona e mi porterà a proseguire all’università e al lavoro. Ringrazio comunque tutti voi per quest’anno che mi ha permesso di comprendere meglio me stesso e ciò che desidero per il mio futuro”, ha concluso lo studente.

Il commento di D’Avenia: sì ad una “scuola bottega”

D’Avenia ha commentato amaramente la scelta del ragazzo, condividendone le perplessità partendo dal concetto di merito: “Merito, dal greco meris, è la parte, porzione che toccava a ciascuno in una distribuzione. Ma meris significava anche curaaiuto occupazione. ‘Il merito’ non indica quindi ‘la prestazione’ ma ‘la parte/cura’ da dare a ciascuno e che non è la stessa per tutti”.

“Una scuola che non riesce a dare la parte/cura che spetta a ognuno sulla base della sua situazione, storia e possibilità non è equa. Io faccio il maestro per dare, attraverso quel che insegno, a ogni ragazzo ciò che serve a lui e solo a lui per diventare se stesso, non per tenere conferenze, dare test o compilare moduli: il mio motto è più carne e meno carte”, ha aggiunto. Secondo lui la scuola dovrebbe essere “su misura”, ascoltando i bisogni di ogni studente. Questo discorso si inserisce a pieno nel recente dibattito a proposito di una scuola senza voti e della personalizzazione dell’insegnamento.

Chissà, magari l’alunno in questione ha un qualunque problema di apprendimento che non è mai emerso in classe. La scuola, in questo caso, ha fallito?

“Educare non è addestrare ma risvegliare il maestro interiore, cioè rendere ognuno capace di educare se stesso (libero), scegliendo ciò che fa crescere e rifiutando ciò che fa regredire. Può riuscirci, non una scuola-catena di montaggio che tratta tutti allo stesso modo, ma una scuola-bottega in cui ciascuno riesce a trovare il suo stile unico: il ‘mio merito (parte e cura) nel mondo’, che ci sto a fare qui”, ha concluso.