Home Personale Caso Niscemi e recupero giorni in luglio: quando la burocrazia diventa patologica

Caso Niscemi e recupero giorni in luglio: quando la burocrazia diventa patologica

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Molti dicono che è una questione di “burocrazia”. Ma non è così pacifico e così ovvio che si possano recuperare 5 giorni di lezione a luglio.

Premesso che, per poter esprimere un parere sul caso specifico, bisogna conoscere la relativa documentazione e che nessun giornale finora ha pubblicato qualcosa di preciso nel merito della spigolosa vicenda, tuttavia si può porsi in generale il problema. È possibile?

Mettiamo che, nel corso dell’anno scolastico, si perdano dei giorni di lezione, scendendo sotto il limite dei 200 obbligatori, per “cause di forza maggiore”, quali una calamità naturale con chiusura della scuola o disservizi tali da non poter erogare un servizio continuativo, come nel caso del freddo dovuto a malfunzionamento dell’impianto termico.

Come regolarsi?

  1. Nel caso di eventi naturali importanti (alluvione, terremoto, nevicata) le scuole sono chiuse con ordinanza del sindaco e “al ricorrere di queste situazioni si deve ritenere che è fatta comunque salva la validità dell’anno scolastico” come spiega la Nota Miur n.1000/2012.
  2. Tuttavia le istituzioni scolastiche, in caso di prolungati periodi di sospensione dell’attività didattica, “potranno valutare, a norma dell’art. 5 del DPR 275/99 «in relazione alle esigenze derivanti dal Piano dell’offerta formativa», la necessità di procedere ad adattamenti del calendario scolastico finalizzati al recupero, anche parziale, dei giorni di lezioni non effettuati”, come puntualizza la stessa Nota Miur.

Se, a conti fatti, è necessario/opportuno recuperare alcuni giorni di scuola, questi vanno programmati e recuperati a tempo debito, con delibera motivata degli organi competenti, prima della fine delle lezioni e prima di procedere a scrutini ed esami, che chiudono definitivamente l’anno scolastico con la valutazione finale degli alunni.

Nel caso emblematico di Niscemi, l’ipotesi che si dovesse recuperare l’interruzione prolungata era nota dalla metà di febbraio. Perché allora non si è provveduto in tempo utile, magari inserendo nel calendario alcuni pomeriggi in più?

Ma se il recupero non è stato fatto in tempo utile, per motivi che non sappiamo, ha senso mettere il recupero in luglio, finite le lezioni, espletati gli scrutini e svolti pure gli esami di maturità?

La bussola orientativa ci è fornita ancora una volta dalla Nota Miur di cui sopra, firmata dal direttore generale Carmela Palumbo: “In buona sostanza le decisioni delle scuole dovranno avere a riferimento da un lato l’esigenza di consentire agli alunni il pieno conseguimento degli obiettivi di apprendimento propri dei curricoli scolastici e, dall’altro, quella di permettere agli insegnanti di disporre degli adeguati elementi di valutazione degli apprendimenti e del comportamento degli studenti, secondo quanto previsto dagli artt. 2 e 14 del D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122”.

L’eventuale decisione di un recupero va pertanto deliberata in tempo utile e ben motivata, con riferimento alle esigenze derivanti dal Piano dell’offerta formativa, agli obiettivi di apprendimento e alla necessità di una valutazione adeguata. Non può essere un fatto puramente aritmetico di numero di ore da passare sui banchi. Tanto più se la valutazione finale si è conclusa e non ha registrato impedimenti.

Cui prodest allora tornare in aula in luglio?

Qualcuno potrebbe obiettare che il mancato recupero delle frazioni orarie ridotte ha comportato un danno erariale, perché ai docenti gli stipendi sono stati erogati per intero. Ma, anche in questo caso, non bisognava pensarci prima? Se la prestazione di lavoro era dovuta, andava richiesta in tempo utile, secondo modalità rispettose dei criteri normativi stabiliti e sempre nell’interesse dell’utenza. Una  soluzione sensata, volendo, si trova.

Non si tratta dunque di una questione di burocrazia, ma di patologia della burocrazia cha fa male alla scuola, perché le norme in sé sono sempre finalizzate al rispetto dei criteri di efficienza, efficacia e legalità, hanno insomma una ratio, che nella soluzione messa in atto a Niscemi si stenta ad intravedere.