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Crepet: i giovani senza attese e desideri

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Paolo Crepet, interpellato dall’Agi a proposito della traccia per il tema d’italiano ispirato ad un articolo dello scrittore e critico letterario Marco Belpoliti dal titolo “Elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp”, ha così risposto: “attesa e desiderio sono concetti relativamente moderni” e l’attesa “va considerata come una conquista del romanticismo, siamo arrivati a conquistare l’attesa”. 

E se i ragazzi vogliono andare di fretta, ciò è dovuto a un nostro insegnamento: “In realtà, non è accaduto con un on/off. A guardare bene tutta l’evoluzione tecnologica è avvenuta su questo piano. L’aver abbandonato la penna stilografica per la macchina per scrivere è stato un principio di efficienza da una parte e di rapidità dall’altra. E ancor prima anche i libri erano stesi a mano. E ci voleva il suo tempo”.

“Quindi questo passaggio non è avvenuto all’improvviso perché è arrivata la tecnologia digitale, la tecnologia digitale è stata semmai l’estrema conclusione, non definitiva perché costantemente in ulteriore evoluzione, di questa che è diventata la nuova necessità. Ovvero, per il Romanticismo la necessità era l’attesa, per la Contemporaneità la necessità è l’immediato. Il correre, l’andare veloci anche a spese della qualità”.

“Il problema di questi ragazzi oggi è che fanno un po’ fatica a capire anche quel che Belpoliti scrive con lucidità. Il problema è che questi ragazzi vivono nel presente e non sanno cosa significhi l’andare lenti, conoscere i tempi dell’attesa. Ricordo un’esperienza fatta tanti anni fa a Genova con dei bambini delle elementari durante la quale avevamo insegnato loro a rallentare”.

“Ed è stata un’esperienza molto gioiosa ma al tempo stesso anche dolorosa, nel senso che non lo sapevano fare. Per loro bere un bicchiere di succo era una cosa da fare in un secondo, perché non conoscendo l’attesa, anche di assaporare, facevano gesti solo compulsivi perché erano succubi di una vita vissuta compulsivamente: dall’andare a scuola, dalla piscina a chissà dove per fare qualche altra attività. Se lei pensa ai tempi di un bambino degli anni ’60, di quando eravamo bambini noi, erano tempi lenti: andavi a giocare a pallone, poi ti fermavi, c’era l’oratorio, il tempo per mangiare il ghiacciolo che si scioglieva”

“Oggi aspettare è contro natura, come se a noi venisse chiesto di correre in continuazione. Non ce la faremmo, e non per una questione fisica, di resistenza, ma di disponibilità mentale. Perché noi siamo cresciuti con tempi di attesa. L’osteria è un tempo di attesa. E perché adesso non si gioca più a carte nei bar? Perché ci sono tempi di fruizione di quel tavolo che non esistono più, non ci sono più le pause e se uno si mette a giocare arriva la cameriera che lo fa sgombrare perché non puoi tenere il tavolo occupato”.